Roberto Oliva

La riforma del processo civile, come è stato ampiamente riportato dai media generalisti, è oggetto di un disegno di legge delega di iniziativa governativa (AS 1662, disponibile qui). Sull’impianto immaginato dal precedente Governo, il nuovo ha dichiarato la sua intenzione di intervenire, in maniera più o meno radicale.

Nei giorni scorsi, sono circolate le bozze degli emendamenti che il Governo avrebbe intenzione di proporre, accompagnati da una relazione illustrativa (disponibili, rispettivamente, qui e qui).

L’articolato contiene una disposizione espressamente dedicata all’arbitrato (art. 11), sulla quale si possono compiere alcune riflessioni.

Questo il testo del proposto art. 11 del disegno di legge delega:

1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche alla disciplina dell’arbitrato sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) rafforzare le garanzie di imparzialità e indipendenza dell’arbitro, reintroducendo la facoltà di ricusazione per gravi ragioni di convenienza, nonché prevedendo l’obbligo di rilasciare, al momento dell’accettazione della nomina, una dichiarazione che contenga tutte le circostanze di fatto rilevanti ai fini delle sopra richiamate garanzie, prevedendo l’invalidità dell’accettazione nel caso di omessa dichiarazione, nonché in particolare la decadenza nel caso in cui, al momento di accettazione della nomina, l’arbitro abbia omesso di dichiarare le circostanze che, ai sensi dell’articolo 815 del codice di procedura civile, possono essere fatte valere come motivi di ricusazione;

b) prevedere in modo esplicito l’esecutività del decreto con il quale il presidente della corte d’appello dichiara l’efficacia del lodo straniero con contenuto di condanna, al fine di risolvere i contrasti interpretativi esistenti in materia;

c) prevedere l’attribuzione agli arbitri rituali del potere di emanare misure cautelari nell’ipotesi di espressa volontà delle parti in tal senso, manifestata nella convezione di arbitrato o in atto scritto successivo, salva diversa disposizione di legge. Mantenere per tali ipotesi in capo al giudice ordinario il potere cautelare nelle sole ipotesi di domanda anteriore all’accettazione degli arbitri; disciplinare il reclamo cautelare avanti al giudice ordinario per i motivi di cui all’articolo 829, comma 1, del codice di procedura civile e per contrarietà all’ordine pubblico; disciplinare le modalità di attuazione della misura cautelare sempre sotto il controllo del giudice ordinario;

d) prevedere, nel caso di decisione secondo diritto, il potere delle parti di indicazione e scelta della legge applicabile;

e) ridurre a sei mesi il termine di cui all’articolo 828, secondo comma, del codice di procedura civile, per la proposizione dell’impugnazione per nullità del lodo rituale, equiparandolo al termine di cui all’articolo 327, primo comma, del codice di procedura civile;

f) prevedere, nella prospettiva di riordino organico della materia e di semplificazione della normativa di riferimento, l’inserimento nel codice di procedura civile delle norme relative all’arbitrato societario e la conseguente abrogazione del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5; prevedere altresì la reclamabilità dell’ordinanza che decide sulla richiesta di sospensione della delibera;

g) disciplinare la translatio iudicii tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario e tra giudizio ordinario e giudizio arbitrale”.

Sono dunque sette i temi sui quali il Governo desidererebbe intervenire.

Conviene esaminarli singolarmente, seguendo lo stesso ordine dei proposti principi e criteri direttivi della delega.

Innanzi tutto, si intendono rafforzare le garanzie di imparzialità e indipendenza degli arbitri.  Nella relazione illustrativa, viene fatta menzione delle buone prassi di alcune istituzioni arbitrali “che hanno sviluppato una solida esperienza nella amministrazione dei procedimenti arbitrali”.  Ricorrono alla memoria, ad esempio, gli articoli 20 e 21 del regolamento arbitrale della Camera Arbitrale di Milano (disponibile qui).  Si tratta di un tema sul quale si è soffermato l’interesse della comunità arbitrale internazionale, in particolare (ma non solo) dopo la recente pronunzia Halliburton v Chubb della Suprema Corte del Regno Unito (disponibile qui).  Se tra le intenzioni della riforma vi è effettivamente quella, espressamente dichiarata nella relazione illustrativa, di rendere “maggiormente attrattivo lo strumento arbitrale anche per soggetti e investitori stranieri”, di tali sviluppi si dovrà necessariamente tenere conto.  Ad esempio, appare opportuno che il duty of disclosure non sia limitato alle circostanze risalenti al momento dell’accettazione della nomina da parte dell’arbitro, ma accompagni l’arbitro per tutto il corso dell’arbitrato.

Si intende poi stabilire che il decreto ex art. 839 cod. proc. civ. che dichiara l’efficacia di un lodo straniero sia provvisoriamente esecutivo ove il lodo abbia contenuto di condanna.  Non mancano voci, in dottrina e in giurisprudenza, già orientate in questa direzione.  Conseguenza poi della provvisoria esecuzione del decreto ex art. 839 cod. proc. civ. dovrebbe essere la possibilità di una sua sospensione nel procedimento ex art. 840 cod. proc. civ., con uno strumento simile a quello di cui all’art. 649 cod. proc. civ.  Questo strumento andrebbe però disciplinato espressamente, tenendo peraltro in considerazione le caratteristiche del giudizio ex art. 840 cod. proc. civ., che si svolge di fronte alla Corte d’appello e non di fronte al Tribunale.

Altra manifestata intenzione del Governo è quella di – finalmente – attribuire un generale potere cautelare agli arbitri.  Sul punto, i proposti principi e criteri direttivi paiono però sin troppo timidi.  Non solo e non tanto per la previsione di un reclamo cautelare attribuito alla competenza del Giudice statuale (ma solo in caso di invalidità della convenzione arbitrale e/o di violazione dell’ordine pubblico), ma per la previsione che gli arbitri abbiano poteri cautelari solo ove loro espressamente attribuiti dalle parti.  Sappiamo dall’economia del diritto (e dall’esperienza diretta: si pensi all’impugnazione nel merito ex art. 829 cod. proc. civ.) che, in presenza di una norma derogabile con una espressa dichiarazione di volontà, è infrequente che tale dichiarazione venga resa.  Il punto di ricaduta è che quindi gli arbitri in procedimenti amministrati avranno tendenzialmente poteri cautelari (poiché ad essi con ogni probabilità saranno attribuiti dal regolamento arbitrale, integrativo della convenzione di arbitrato) e che gli arbitri in procedimenti ad hoc tendenzialmente non li avranno (perché con ogni probabilità le parti non avranno inserito la relativa previsione nella loro convenzione di arbitrato).  Si perviene quindi, per altra strada, a una proposta non dissimile da quella della c.d. commissione Alpa (disponibile qui): attribuire poteri cautelari agli arbitri in procedimenti amministrati.  Si percepisce in definitiva, da un lato, una sfiducia nei confronti dell’arbitrato ad hoc, tanto più immotivata quanto più proprio con questa riforma ci si propone di rafforzare le garanzie di terzietà e imparzialità degli arbitri; dall’altro lato, l’omessa considerazione di un fenomeno – quello per l’appunto dell’arbitrato ad hoc – le cui dimensioni sono ben superiori rispetto a quelle dell’arbitrato amministrato.

Curiosa è poi l’intenzione di consentire alle parti, in caso di decisione secondo diritto, di indicare e scegliere la legge applicabile: non è infatti ben chiaro quale sia il proposto obiettivo del legislatore delegante (posto che gli accordi di scelta di legge sono altrimenti e altrove disciplinati), e sul punto la relazione illustrativa è silente.

Molto più comprensibile (e condivisibile) è invece l’intenzione di equiparare il termine c.d. lungo di impugnazione dei lodi arbitrali a quello di appello delle pronunzie rese in primo grado dal Giudice statuale.  Soltanto, sarà opportuno coordinare la nuova disciplina con il principio recentemente enunciato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass., SS.UU. 30 marzo 2021, n. 8776, disponibile qui), in punto decorrenza del termine.

Parimenti comprensibile e condivisibile è l’intenzione di inserire nel contesto del codice di procedura civile le disposizioni relative all’arbitrato societario.  Si tratterebbe, però, o almeno così pare di intendere, di un mero spostamento delle disposizioni, il cui contenuto resterebbe invariato (salva l’aggiunta della reclamabilità dei provvedimenti cautelari emessi dagli arbitri societari).  In tal modo, si perderebbe l’occasione di una profonda modifica della disciplina dell’arbitrato societario, i cui limiti e correlati dubbi interpretativi sono molteplici.

Infine, si intende disciplinare espressamente l’ipotesi di translatio iudicii, già ammessa, nei rapporti tra Giudice statuale e arbitri rituali, in forza della sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 19 luglio 2013 (disponibile qui).  E l’intervento potrebbe costituire l’occasione per chiarire se la translatio si applica anche nei rapporti tra Giudice statuale e arbitri irrituali.

Gli interventi proposti, in definitiva, sono sì condivisibili, ma frammentari, e apparentemente manca – spiace rilevarlo – una chiara visione d’insieme (ma non si possono escludere piacevoli sorprese in sede di legislazione delegata).

Ad esempio, questa riforma avrebbe potuto rappresentare l’occasione per reintrodurre una disposizione sovrapponibile all’art. 833 cod. proc. civ., abrogato con la riforma del 2006, che consentiva, in caso di arbitrato internazionale (come disciplinato prima della riforma) di derogare ai requisiti formali di cui agli artt. 1341 e 1342 cod. civ.  Si trattava di disposizione quanto mai opportuna, per evitare, in presenza di vicende che presentano elementi di estraneità, il ricorrere di ipotesi di invalidità della convenzione arbitrale sconosciute in diversi ordinamenti (e dunque tali da far apparire ‘singolare’ il nostro ordinamento).  Una sua reintroduzione, dunque, soprattutto se si vuole rendere più attrattivo l’arbitrato internazionale con sede in Italia, sarebbe senz’altro necessaria.

Altro grande assente, nell’intero impianto della riforma, che tanto spazio dedica non solo all’arbitrato, ma più in generale al mondo ADR, è l’operazione culturale – per così dire, di ‘induzione all’ADR’ – senza la quale l’ottimismo illuminista della legge delega (o meglio, dei principi e criteri direttivi proposti dal Governo) rischia di naufragare sugli scogli di abitudini e convincimenti consolidati.

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