Arbitrato e fallimento

Uno dei settori in cui tuttora sussiste, a livello di politica legislativa, un certo disfavore per l’arbitrato è quello fallimentare.  Da un lato, la vis attractiva concorsus di cui all’art. 24, co. 1, l.fall. (“Il tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore“) e dall’altro lato il disposto dell’art 83/bis l.fall. (“Se il contratto in cui è contenuta una clausola compromissoria è sciolto a norma delle disposizioni della presente sezione, il procedimento arbitrale pendente non può essere proseguito“) congiurano nel ridurre significativamente l’ambito delle controversie arbitrabili in cui sia parte un imprenditore soggetto a procedura concorsuale.  E ciò fanno anche con buona pace del principio dell’autonomia della clausola compromissoria, come emerge chiaramente dalla relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo recante la riforma organica della legge fallimentare: “(…) È previsto in particolare che il procedimento arbitrale già pendente non possa essere proseguito allorquando il contratto contenente la clausola arbitrale viene sciolto a norma delle disposizioni della presente sezione IV. Ciò al fine di evitare che il giudizio arbitrale sopravviva al regolamento di interessi convenzionali travolto dal fallimento e che era destinato a risolvere“.

Sul rapporto tra arbitrato (nella fattispecie concreta, arbitrato estero) e fallimento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono recentemente soffermate, nell’ordinanza n. 10800 del 26 maggio 2015. Qui il testo completo dell’ordinanza.

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