Brevi note sugli istituti conciliativi ed arbitrali nell’area del diritto industriale

di Massimo Scuffi [1]

I metodi alternativi di composizione delle liti impiegati nel contenzioso civile non sono sempre sovrapponibili a quelli utilizzabili nelle controversie industrialistiche che presentano peculiarità proprie.

Vediamone  i caratteri  distintivi.

Arbitraggio

Nel corpus del Codice della proprietà industriale trova innanzitutto collocazione l’istituto dell’«arbitraggio» sul valore economico dei titoli di p.i. (con riguardo soprattutto alle  invenzioni), modello ritenuto dal legislatore il meccanismo più funzionale in tutte le ipotesi nelle quali sul «quantum debeatur» non vi sia accordo tra le parti ed occorra affidarsi ad un terzo per la sua determinazione.

L’«arbitraggio» non costituisce modo di risoluzione di controversia su preesistenti posizioni giuridiche soggettive poiché al terzo «arbitratore» è esclusivamente conferita dai paciscienti la «determinazione» in loro vece del contenuto di un contratto già concluso alla cui integrazione e formazione concorre con attività volitiva ed autonoma .

L’istituto  (previsto — in via generale — dall’art. 1349 cod. civ.) è ripreso dal Codice della proprietà industriale [2] con riferimento alle «invenzioni  dei dipendenti» (art.6 4) ove non sia raggiunto l’accordo sul  premio dovuto all’inventore e sulle modalità di pagamento, nel caso di «espropriazione dei diritti di proprietà industriale» nell’interesse della difesa militare del paese o per altre ragioni di pubblica utilità (art. 143) ove difetti  l’accordo sull’indennità da corrispondere, in ipotesi di «licenza di pieno diritto» (art. 80) ove sia dal terzo accettata l’offerta dell’inventore per l’uso non esclusivo dell’invenzione ma non il compenso, in tema di «licenza obbligatoria» (art. 70) a fronte della mancata attuazione dell’invenzione ovvero per lo sfruttamento di invenzione dipendente allorché il terzo interessato — preventivamente rivoltosi al titolare — non abbia da questi potuto ottenere licenza contrattuale ad eque condizioni.

In tutti questi casi misura e modalità dell’equo corrispettivo sono appunto rimessi ad  «arbitratori» che fungono da mandatari delle parti nel colmare il «vuoto contrattuale».

Consulenza tecnica preventiva

Strumento regolato dal Codice di procedura civile destinato a valere, non solo, come  acquisizione preventiva di un mezzo di prova ma anche (e soprattutto) come mezzo di risoluzione della controversia alternativo alla instaurazione di un ordinario giudizio di  cognizione, la «consulenza tecnica preventiva» opera anche all’interno del sistema processuale di protezione della proprietà industriale per espresso rinvio disposto dal Codice p.i.

Il meccanismo – per i  suoi connotati che prescindono dal requisito del periculum e per la  marcata natura conciliativa –non può essere annoverato tra i procedimenti cautelari in senso stretto per cui non soggiace alle regole di competenza proprie delle misure provvisorie di diritto industriale (descrizione, sequestro, inibitoria) regolate dal modello uniforme di cui agli artt. 669/bis-terdecies cod. proc. civ.

La novità del mezzo risiede non tanto nella funzione probatoria («semplificatoria» e meno invasiva rispetto alla «descrizione» che per conservare efficacia richiede sempre la obbligatoria  instaurazione del giudizio di merito nei termini perentori prescritti dal Codice p.i.) quanto piuttosto nella accentuata funzione conciliativa ancorché circoscritta  all’accertamento e determinazione dei crediti derivanti da inadempimenti contrattuali e fatti illeciti.

La lettera della legge parrebbe dunque escludere dal vaglio critico del consulente incaricato ogni questione interpretativa che investa il contenuto e la portata dell’esclusiva, la esistenza di illecite interferenze di terzi, la stessa validità del titolo di p.i., prevedendo un impiego del mezzo per le definizioni risarcitorie («sussistenza» e «consistenza» del danno) derivate da fenomeni di contraffazione o violazioni negoziali non  messi (ancora) in discussione o già accertati giudizialmente (ad esempio con sentenza di condanna generica).

Il concetto di accertamento (ancorché riferito al quantum) implica – peraltro – la individuazione della causa del danno e la verifica di una certa responsabilità ai fini della imputabilità per cui  l’operato dell’esperto, viste soprattutto le caratteristiche dell’istituto tendenzialmente volto a predeterminare il contenuto di un transazione tra le parti, ben potrebbe affrontare questioni più estese trascendenti il mero aspetto tecnico-contabile in vista di soluzioni più propriamente giuridiche (quali sono quelle riguardanti l’esclusiva e la validità).

Non mancano per contro perplessità sull’affidamento di indagini e/o approfondimenti sull’an  ad una procedura preliminare quale quella prefigurata dalla norma dove non è ammesso l’intervento di CT di parte né il consulente-compositore è in grado di assumere funzione di «ausiliario» del giudice con tutti i poteri acquisitivi e collaborativi riconosciutigli in tale veste.

Mediazione

La mediazione è strumento di confronto tra le parti chiamate a incontrarsi davanti ad un mediatore al fine di  prevenire una  lite. Il  mediatore è terzo imparziale (di regola un organismo di mediazione) che assiste le parti prima del giudizio per facilitarne l’accordo con una soluzione condivisa.

La procedura di mediazione è anteriore alla lite e si distingue dal tentativo di conciliazione che ha natura «endoprocessuale» perché esperito liberamente dal giudice nel corso del giudizio per comporre i contrapposti interessi  ed è finalizzato alla estinzione del medesimo.

La mediazione si distingue anche dall’arbitrato che (almeno quello rituale) ha natura di vero e proprio giudizio (al pari di quello ordinario) dove gli arbitri esercitano funzioni decisorie pronunziando un lodo equivalente alla sentenza.

Esistono diversificati procedimenti di mediazione.

La mediazione c.d «obbligatoria» costituisce una condizione di procedibilità (che si perfeziona dopo il primo incontro senza accordo) per l’azione civile in specifiche materie .

L’elencazione è tassativa.

Questo filtro di accesso al contenzioso (che presuppone la presentazione di apposita domanda agli organismi di mediazione) coinvolge la conflittualità anche sui «diritti reali» senza altra specificazione ma non è applicabile al contenzioso industrialistico perché i «diritti di esclusiva» non rientrano nel novero dei diritti cui allude la norma.

La proprietà sui beni immateriali non è infatti un diritto reale, poiché manca la «materialità» dell’oggetto (res), si tratta cioè di una proprietà diversa da quella tradizionale da intendere come sinonimo di diritto assoluto al quale è estraneo qualsiasi elemento di realità.

Esiste anche una  mediazione «facoltativa» [3] cui chiunque può accedere, estendibile a qualsiasi controversia civile e commerciale purché siano coinvolti diritti disponibili (la mediazione può essere indotta anche per clausola contrattuale o statutaria in tal caso assumendo la veste di mediazione «concordata»).

Innovativa è altresì la mediazione c.d «delegata» proponibile  anche in appello dal giudice con invito alle parti ad avviarla separatamente, previa valutazione della natura della causa, dello stato dell’istruzione e del comportamento dei litiganti.

L’opzione del giudice è qui duplice: tentativo di conciliazione esperito davanti a sé (art. 185/bis cod. proc. civ.) ed ordine di procedere a mediazione davanti ad un organismo abilitato.

Con il c.d rito partecipativo il tentativo di conciliazione e la mediazione sono perciò esperiti in sequenza.

La procedura ha valenza generale e si applica a tutte le controversie relative a diritti disponibili.

E dunque, ancorché la mediazione «obbligatoria» –come si è detto – resti estranea ai diritti di p.i., nella misura in cui questi si identifichino in diritti disponibili potranno rimanere assoggettati a tutte le altre  procedure di mediazione sovra elencate.

In linea di massima – infatti – tutti i diritti di proprietà industriale sono diritti patrimoniali «disponibili» perché oggetto di trasferimento ed alienazioni per atto tra vivi come «mortis causa».

L’art. 63 del Codice p.i. prevede la cessione a qualsiasi titolo dei diritti nascenti dalle invenzioni industriali (escluso il diritto morale che spetta all’inventore) al pari dei marchi (art. 23); oggetto di proprietà liberamente trasferibili sono pure i titoli «unionisti» (marchi, modelli, disegni europei) gestibili secondo gli Accordi, Convenzioni e Regolamenti europei che li riguardano.

La mediazione nel settore della proprietà industriale (facoltativa o delegata) è gestita anche da organismi internazionali quali il Wipo Arbitration e Mediation Center di Ginevra che mette – tra l’altro – a disposizione expert determinations procedures sugli aspetti tecnici della controversia (equivalenti a perizie contrattuali).

Nel settore brevettuale  va poi segnalato l’istituendo Patent Mediation Arbitration Center-PMAC con  duplice sede in Lisbona e Lubiana, quale parte della struttura (centrale e periferica) del Unitary Patent Court destinata ad operare  indipendentemente ma in stretta collaborazione con l’organismo giudiziario.

Le regole di procedura che presiedono il giudizio di contraffazione e validità brevettuale avanti alla Corte europea prevedono che nella fase interinale del processo destinata a mettere a fuoco i principali punti litigiosi e delineare la posizione delle parti sui fatti e le reciproche istanze il giudice possa esplorare le possibilità di conciliazione invitando i contendenti ad utilizzare – appunto – le strutture del PMAC.

La richiesta di mediation è fatta ai servizi del Centro con  scelta di  un mediatore tra quelli indicati nella lista tenuta dall’organismo (che ne fornirà le credenziali) e quegli opererà come terzo neutrale, imparziale ed indipendente, assistendo le parti nella ricerca di un final settlement in maniera efficiente e spedita (di durata non eccedente i tre mesi salvo deroghe concordate).

Durante la pendenza del procedimento di mediazione non potranno essere attivate o proseguite iniziative giudiziali od arbitrali salvo il ricorso alla Corte per ottenere eventuali  misure cautelari.

Negoziazione assistita

Istituto volto a valorizzare il più possibile la competenza tecnico professionale del mondo dell’avvocatura è poi – nell’ambito dei sistemi di deflazione del contenzioso – la «negoziazione assistita», procedura preliminare destinata ad «ufficializzare» gli accordi stragiudiziali intervenuti nel corso delle trattative tra le parti con una convenzione  scritta e «asseverata» (certificata, cioè, come conforme all’ordine pubblico ed al buon costume al pari della omologa giudiziale) a valere come titolo esecutivo e che  concerne – anche essa – solo «diritti disponibili».

Il sistema che ha precedenti nella legge francese (c.d. act d’avocat) si attiva con l’invito che il legale di una parte rivolge con una serie di avvertimenti all’altra per pervenire ad un accordo e trova limite solo nella «indisponibilità» dei diritti coinvolti.

È dunque mezzo estendibile – a seconda dei casi – anche alle vertenze sui diritti di p.i.

Arbitrato

Strumento principe della giustizia privata, l’arbitrato c.d. «rituale» è stabilito in via preventiva con previsione negoziale in vista della risoluzione di future liti (clausola compromissoria) o con patto successivo per la risoluzione di controversia già insorta tra le parti (compromesso).

In entrambi i casi l’istituto trova fonte nella c.d. «convenzione d’arbitrato».

L’istituto può assumere anche la forma del c.d. «arbitrato forense» [4] che si attiva quando la causa già instaurata davanti al giudice (e che non sia stata ancora assunta in decisione) venga a trasmigrare in sede arbitrale (sempre quando non abbia oggetto diritti indisponibili) su istanza congiunta delle parti che andranno a promuovere (e proseguire) il relativo procedimento avanti ad un prescelto collegio di avvocati (o avanti arbitro unico) tra quelli che hanno fornito la loro disponibilità all’Ordine.

Viene in tal modo ulteriormente valorizzata la natura propriamente giurisdizionale dell’arbitrato che si conclude con un lodo o sentenza arbitrale pronunziata dall’arbitro nell’esercizio di funzione decisoria «sostitutiva» di quella del giudice ordinario cui l’ordinamento attribuisce efficacia di titolo esecutivo giudiziale mediante «omologazione», cioè il visto di esecutorietà rilasciato dal Tribunale dopo averne verificato — in sede di deposito — la sua «regolarità formale».

Diverse caratteristiche e funzione presenta invece l’arbitrato «libero» o «irrituale» dove l’arbitro non è chiamato a svolgere compiti giurisdizionali ma si presenta come un mero «mandatario» delle parti affidatario della composizione bonaria della vertenza con responso direttamente riferibile alla volontà dei «mandanti».

Non sfociando l’arbitrato libero in un provvedimento equiparabile a sentenza evidentemente non sarà neppure assoggettabile alla procedura omologatoria.

Nel campo dei brevetti europei (sia «classici» che ad «effetto unitario») il futuro Patent madiation arbitration Center-PMAC  è deputato a fornire un servizio di arbitration «amministrato» secondo proprie regole di procedura.

Allo scopo le arbitration rules prevedono la costituzione di un Tribunale arbitrale e la disputa potrà essere affidata ad un sole arbitrator scelto tra una rosa di esperti dalla lista tenuta dal Centro ovvero ad una terna di arbitri (scelti uno per parte che a loro volta nomineranno un  terzo come Presidente).

La procedura contempla una trattazione documentale o – se del caso – orale con fissazione di udienze, audizione di testimoni e nomina di esperti, adozione di eventuali provvedimenti di urgenza e di misure protettive (urgent measures) e – a conclusione del procedimento – la pronunzia del lodo (award) contenente le ragioni della decisione (a meno che le parti non si accordino per omettere la motivazione).

Si è già detto che – in linea di massima – i diritti di proprietà industriale sono diritti patrimoniali «disponibili» dunque le relative controversie non incontrano limiti nell’accesso ai modelli di risoluzione alternativa.

Ebbene mentre questo è vero in relazione alla dinamica negoziale sottesa alla circolazione dei diritti di p.i. ed al loro normale sfruttamento, discorso diverso è da farsi laddove sia messa in gioco la validità della privativa il cui ostacolo alla arbitrabilità è stato per lungo tempo ravvisato – almeno in Italia – più che nel rilievo «pubblicistico» della sopravvivenza o meno del monopolio di esclusiva sul mercato, nella esigenza di «ordine processuale» della partecipazione «obbligatoria» al giudizio del pubblico ministero e nella estensione  «erga omnes» dell’efficacia riconosciuta alle decisioni dell’AGO in tema di nullità/decadenza.

Orbene la facoltatività dell’intervento del PM oggi espressamente consentita ha eliminato un ostacolo alla adozione di forme di risoluzione alternativa, ma solo apparentemente, restando comunque insostituibile la valenza «universale» di pronunzie di invalidità che solo il giudice e non l’arbitro è legittimato ad emettere.

Del resto l’insegnamento giurisprudenziale e della dottrina processualistica è stato sempre nel senso che – solo allorché la dedotta nullità sia fatta oggetto di mera eccezione e non di domanda proposta in via principale o riconvenzionale, non profilandosi una controversia sulla «validità» del titolo da decidere con efficacia di giudicato, la relativa questione da affrontare «incidenter tantum» è da considerare non sottratta alla cognizione degli arbitri difettando – in codesta ipotesi – ragione «procedimentale» di limitazione alla loro competenza.

Inoltre, quand’anche fosse ammessa la devoluzione in arbitrato di  questioni «principali» afferenti la validità/nullità dei titoli di proprietà industriale, le relative determinazioni sarebbero comunque destinate ad assumere solo efficacia «inter partes».

Anche nei Paesi europei di area occidentale resta di regola esclusa la composizione extragiudiziale di controversie nelle quali l’arbitro sia chiamato a declaratorie di nullità.

Così in Francia dove non sono compromettibili «toutes les matieres qui interessent l’ordre public» ed in Germania dove la materia rientra nella competenza esclusiva del Bundespatentgericht ed è insuscettibile di transazione. [5]

Analogamente dispone l’Agreement istitutivo dell’UPC e del PMAC [6] enunciando il principio generale per cui  un brevetto non può mai essere revocato o limitato mediante una «transazione».

Di conseguenza  nell’ambito del procedimento di mediazione od arbitrato non possono trovare definizione questioni di invalidità (parziale o totale) del titolo contestato.

Ciò nondimeno le regole di procedura (R.11.2) [7] parrebbero autorizzare la Corte a confermare giudizialmente anche settlements contenenti l’obbligo per il titolare di revocare o ridurre la portata del brevetto ovvero non farlo valere nei confronti della controparte.

Il che sta significare che nonostante le disposizioni tassative dell’Accordo la composizione della lite potrebbe portare – come effetto voluto dalle parti – anche alla revoca o la limitazione di un brevetto ed essere come tale convalidato dalla Corte.

La filosofia che ispira il sistema unitario porta dunque a riscontrare un trend favorevole all’uso «indistinto» dello strumento conciliativo quale vantaggiosa alternativa a complessi e costosi procedimenti specie per le piccole e medie imprese.


[1] Magistrato, rappresentante italiano nel Comitato preparatorio (legal group) e amministrativo dell’Unitary Patent Court, componente della Commissione ricorsi UIBM.

[2] D.lgs. 10 febbraio 2005, n.30.

[3] D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28.

[4] Legge 10 novembre 2014 n.162.

[5] Nel settore antitrust (dove spesso le privative interferiscono con le regole sulla tutela della concorrenza) vige in genere il principio di compromettibilità delle relative controversie escludendosi il carattere indisponibile dei diritti coinvolti anche laddove entri in gioco il c.d. ordine pubblico economico (ed il corretto funzionamento del mercato interno).

[6] Accordo e Statuto sono stati firmati a Bruxelles il 19 febbraio 2013.

[7] La 18^ versione delle Rules of procedure è stata presentata al Comitato preparatorio il 19 ottobre 2015.

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