La decisione della “terza via” nell’arbitrato

La sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 724 del 15 aprile 2025 (disponibile qui) affronta una questione di particolare interesse, stabilendo quando la qualificazione giuridica d’ufficio operata dagli arbitri integri violazione del contraddittorio ex art. 829, co. 1, n. 9 cod. proc. civ.

La pronuncia offre un contributo significativo al dibattito sulla cosiddetta decisione della “terza via”, chiarendo i confini tra legittima qualificazione giuridica dei fatti e violazione del principio del contraddittorio attraverso un approccio che privilegia la sostanza rispetto alla forma.

La controversia traeva origine da una scrittura privata del 17 novembre 2021, contenente clausola compromissoria, relativa all’acquisizione di un immobile da destinare ad uso abitativo. Le parti avevano stipulato un accordo complesso che prevedeva, da una parte, prestazioni tecniche per il declassamento dell’immobile ad uso abitativo e per il frazionamento catastale da parte dell’attore per un corrispettivo totale di 45.000 euro e, dall’altra, l’acquisto dell’intero immobile da parte della convenuta con successivo trasferimento di una porzione all’attore mediante compensazione con il credito per le prestazioni.

L’attore aveva chiesto l’adempimento in forma specifica ex art. 2932 cod. civ. per ottenere il trasferimento dell’immobile, il pagamento del corrispettivo di 45.000 euro per le prestazioni eseguite e il risarcimento danni per l’inadempimento della controparte. La convenuta aveva invece formulato domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per inadempimento dell’attore e il conseguente risarcimento danni.

Il Collegio arbitrale, pur riconoscendo l’adempimento “quantomeno formale” delle prestazioni da parte dell’attore, ha adottato una soluzione intermedia non espressamente richiesta da alcuna delle parti, stabilendo che “il credito dell’attore, tenuto conto del concorso di colpa ex art. 1227, co. 1, cod. civ., può quantificarsi, in via equitativa, nella complessiva somma di 19.000 euro”.

Gli arbitri hanno quindi applicato d’ufficio l’art. 1227 cod. civ. sul concorso del fatto colposo del creditore, liquidando un importo intermedio rispetto alle pretese delle parti.

L’attore impugnava il lodo sostenendo che la soluzione adottata dal Collegio arbitrale non traeva origine da una diversa interpretazione e qualificazione delle domande, ma si fondava su una questione rilevata d’ufficio soltanto in fase decisoria e mai discussa né trattata in atti, configurando così una violazione del principio costituzionalmente garantito del contraddittorio ex art. 111 Cost. L’eccezione muoveva dal principio  secondo cui è nullo, per violazione del diritto al contraddittorio e del diritto di difesa, il lodo arbitrale nel quale sia posta a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio e mai sottoposta alla valutazione delle parti.

La Corte d’Appello di Bologna ha applicato in materia arbitrale principi già affermati dalla Cassazione in linea generale per le decisioni della “terza via”, elaborando un criterio sostanziale per valutare la violazione del contraddittorio e stabilendo che “la questione della violazione del contraddittorio debba essere esaminata non sotto il profilo formale, ma nell’ambito di una ricerca volta all’accertamento di una effettiva lesione della possibilità di dedurre e contraddire”.

Questo orientamento riprende i consolidati insegnamenti della giurisprudenza di legittimità secondo cui la nullità del lodo deve essere dichiarata solo quando sussiste un vizio idoneo a determinare violazione del contraddittorio, viene indicato lo specifico pregiudizio arrecato al diritto di difesa e si verifica un’effettiva lesione della possibilità di dedurre e contraddire.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che non sussistesse violazione del contraddittorio perché i fatti relativi alle inadempienze erano stati ampiamente affrontati in sede di arbitrato, era stata svolta prova testimoniale sui comportamenti delle parti e le parti erano state ampiamente messe nelle condizioni di dedurre sui fatti posti a fondamento della decisione.

L’applicazione dell’art. 1227 cod. civ. costituiva quindi una qualificazione giuridica dei fatti rilevata d’ufficio, ma non una violazione del principio del contraddittorio dato il pieno contraddittorio sui fatti sottostanti.

La sentenza applica all’arbitrato una distinzione già consolidata, tracciando il confine tra qualificazione giuridica d’ufficio di fatti oggetto di contraddittorio, che risulta legittima, e decisione basata su fatti mai sottoposti dalle e alle parti, che invece comporta nullità. Questo approccio non si discosta dalla giurisprudenza consolidata della Cassazione sui casi di decisioni della “terza via” da parte del Giudice statuale, ma ne rappresenta piuttosto una specifica applicazione in materia arbitrale.

Questo orientamento presenta indubbi vantaggi in termini di certezza, riducendo il rischio di nullità per questioni meramente formali, di efficienza, evitando annullamenti di lodi per vizi non sostanziali, e di flessibilità, consentendo agli arbitri maggiore libertà nella qualificazione giuridica. Tuttavia, non mancano possibili rischi, considerato che il confine tra fatti e diritto può essere labile, potrebbero verificarsi orientamenti difformi tra Corti d’appello e sussiste il rischio di svuotamento delle garanzie del contraddittorio.

Per gli arbitri, la decisione offre maggiore libertà nella qualificazione giuridica, purché il contraddittorio sui fatti sia completo, la qualificazione giuridica sia ragionevolmente prevedibile e non si introducano elementi fattuali nuovi. Per i difensori diventa invece necessario ampliare il contraddittorio anche su possibili qualificazioni giuridiche alternative dei fatti dedotti, sui principi applicabili oltre a quelli espressamente invocati e sulle conseguenze giuridiche diverse da quelle richieste.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.