Arbitrato in Italia

Arbitrato in Italia è nato, nel 2015, sotto forma di blog per iniziativa di Roberto Oliva.

L’idea che lo aveva ispirato era questa: diffondere la cultura dell’arbitrato in Italia e in tal modo accrescere l’impiego dello strumento arbitrale nel nostro Paese.

Nel corso degli anni, sono stati affrontati, in circa un centinaio di articoli, numerosi argomenti relativi all’istituto dell’arbitrato.

I lettori di Arbitrato in Italia sono costantemente aumentati nel corso del tempo, giungendo a numeri più che lusinghieri, tenuto anche conto dell’argomento, settoriale e specialistico, affrontato.

A partire dal 2020, Arbitrato in Italia è poi diventato una rivista.  O meglio, due riviste: Arbitrato in Italia, la versione italiana (ISSN 2732-5695) e Arbitration in Italy, la versione inglese (ISSN 2732-5687).

L’obiettivo è sempre il medesimo: parlare di arbitrato in maniera seria, precisa, scientifica e al tempo stesso comprensibile e con un approccio pratico, far accrescere l’interesse degli operatori per l’arbitrato e contribuire così alla diffusione dello strumento.

I limiti della “decisione della terza via”

Un contratto prevede che una parte si occupi degli oneri progettuali per il frazionamento di un immobile e l’altra proceda all’acquisto per poi trasferire una porzione al primo contraente. Sorge controversia sull’adempimento e viene adito il collegio arbitrale, che liquida un danno ridotto applicando d’ufficio l’art. 1227 cod. civ. per concorso di colpa del creditore. Nondimeno, la parte soccombente lamenta violazione del contraddittorio per “decisione della terza via”.

A quali condizioni può considerarsi violato il principio del contraddittorio nell’arbitrato rituale?

Una recente sentenza della Corte di Appello di Bologna (n. 724 del 22 aprile 2025, disponibile qui) offre l’occasione per tornare su questa delicata questione.

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Competenza cautelare arbitrale e clausole compromissorie ante riforma

Una società di persone presenta nel proprio statuto, modificato nel 2006, una clausola compromissoria che devolve ad arbitri tutte le controversie sociali secondo il regolamento di una camera arbitrale. Uno dei soci richiede al Tribunale ordinario, in via cautelare ex art. 700 c.p.c., la revoca dell’amministratore per gravi irregolarità gestorie. Il convenuto eccepisce l’incompetenza del giudice statale in favore degli arbitri. A quale giudice spetta la competenza in sede cautelare quando la clausola compromissoria è anteriore alla riforma del 2022 ma rinvia a un regolamento arbitrale che disciplina i poteri cautelari degli arbitri?

Il Tribunale di Venezia, con ordinanza del 6 maggio 2025 (disponibile qui), ha affrontato questa delicata questione procedurale che si colloca nel nuovo scenario normativo post d.lgs. 149/2022.

La pronuncia ha risolto la questione affermando la competenza statuale, ma la motivazione adottata evidenzia profili interpretativi che meritano particolare attenzione per le implicazioni sistematiche sulla ripartizione di competenza tra giudice e arbitro in sede cautelare.

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Arbitrato e tutela cautelare

ll Tribunale di Venezia ha pronunciato il 6 maggio 2025 un’ordinanza (il cui testo è disponibile qui) che affronta questioni di rilevante interesse pratico in materia di arbitrato e consente di compiere una ulteriore riflessione in punto competenza cautelare degli arbitri i cui poteri derivano da una convenzione arbitrale che le parti abbiano stipulato prima dell’entrata in vigore della riforma di cui al d.lgs. 149/2022.

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La decisione della “terza via” nell’arbitrato

La sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 724 del 15 aprile 2025 (disponibile qui) affronta una questione di particolare interesse, stabilendo quando la qualificazione giuridica d’ufficio operata dagli arbitri integri violazione del contraddittorio ex art. 829, co. 1, n. 9 cod. proc. civ.

La pronuncia offre un contributo significativo al dibattito sulla cosiddetta decisione della “terza via”, chiarendo i confini tra legittima qualificazione giuridica dei fatti e violazione del principio del contraddittorio attraverso un approccio che privilegia la sostanza rispetto alla forma.

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Sequestro conservativo ante causam e procedimento di exequatur

L’ordinanza della Corte d’Appello di Trieste del 28 marzo 2025 (disponibile qui) affronta una questione di notevole rilevanza pratica, ossia quella dell’ammissibilità del sequestro conservativo ante causam strumentale al procedimento di exequatur di un lodo arbitrale straniero, resa ancor più interessante dalla considerazione che, a seguito della riforma di cui al d.lgs. 149/2022, il decreto che riconosce in Italia un lodo straniero è immediatamente esecutivo.

La pronuncia si distingue per l’approccio pragmatico adottato dal giudice triestino, che ha saputo coniugare le esigenze di tutela cautelare con le accennate modifiche normative, offrendo una lettura sistematica che supera le rigidità formalistiche e valorizza la sostanza degli istituti processuali.

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Ancora sulle vie parallele

Una clausola compromissoria statutaria consente di devolvere alla cognizione arbitrale le controversie tra soci e società. Tuttavia, la legge pone dei limiti precisi a questa facoltà, e uno di questi limiti è che le controversie non devono riguardare diritti indisponibili.

Con riferimento a una particolare tipologia di controversia, quella concernente l’impugnazione delle delibere di approvazione del bilancio d’esercizio, la giurisprudenza ha da tempo adottato un approccio per così dire binario: le contestazioni formali (come possono essere quelle concernenti l’irregolare convocazione dell’assemblea o l’errata verbalizzazione) sono considerate arbitrabili, mentre le contestazioni sostanziali (ossia quelle che riguardano l’asserita falsità dei dati contabili o la violazione dei principi di veridicità e correttezza) sono ritenute attinenti a diritti indisponibili e, quindi, non arbitrabili.

Questa distinzione, seppure chiara in astratto, si è dimostrata problematica nella prassi.

Cosa accade, ad esempio, quando la stessa impugnazione contiene entrambi i profili?

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Misure cautelari e arbitrato in Italia dopo la riforma del 2022: prime riflessioni a margine dell’art. 818 cod. proc. civ.

La riforma del processo civile introdotta con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, in vigore per quel che qui interessa dal 28 febbraio 2023, ha inciso profondamente anche sulla disciplina dell’arbitrato. Tra le novità più rilevanti figura senz’altro quella relativa alla possibilità per gli arbitri di concedere, a certe condizioni, anche misure cautelari. Si tratta di un cambiamento atteso da tempo, che modifica un assetto storicamente rigido e oggetto di frequente critica.

Si può ora compiere una riflessione sul riformato art. 818 cod. proc. civ., alla luce delle prime applicazioni pratiche, e in particolare di un’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Milano il 7 gennaio 2025 (disponibile qui), che si segnala come il primo provvedimento giurisdizionale a confrontarsi con il nuovo assetto normativo.

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Brevi riflessioni in tema di diritto al contraddittorio in arbitrato irrituale

La sentenza della Corte di Cassazione n. 18601/2023 (disponibile qui) offre lo spunto per alcune riflessioni in tema di attuazione del contraddittorio nell’arbitrato libero.

È ormai principio consolidato che l’arbitrato libero dia vita ad un procedimento, al pari dell’arbitrato rituale, dal quale differisce per il risultato: l’arbitro libero rende una decisione che fa luogo ad un contratto, mentre l’arbitro rituale rende una decisione che ha la stessa efficacia di una sentenza. A parte questa sostanziale differenza, i due tipi di arbitrato condividono la natura di procedimento in cui due o più parti si rivolgono ad un soggetto terzo per risolvere una questione sulla quale non riescono a trovare un accordo consensualmente.

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Inadempimento alla convenzione di arbitrato

Gli operatori dell’arbitrato commerciale, sia domestico che internazionale, devono talvolta affrontare i problemi derivanti dal comportamento di una parte che, recalcitrante a vedere la controversia decisa dagli arbitri come pure pattuito, assume comportamenti – che possono consistere in azioni positive, ovvero nell’omissione di azioni dovute – il cui apparente intento è quello di impedire, ovvero di ostacolare e rallentare, lo svolgimento del procedimento arbitrale.

Di ciò sono consapevoli anche le principali istituzioni arbitrali, che in effetti da tempo includono nei loro regolamenti o recentemente hanno ivi introdotto il monito rappresentato dall’espressa disposizione secondo la quale le parti debbono comportarsi secondo buona fede e correttezza.

Il tema non ha però trovato, quanto meno in Italia, particolare attenzione – salvo che da parte di una dottrina tanto isolata quanto autorevole.  Appare per questo motivo opportuno affrontarlo, in una proposta – preliminare e parziale, anche in considerazione del limitato spazio in cui al momento sembra opportuno contenerla – di ricostruzione sistematica.

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Alcune riflessioni sulla riforma dell’arbitrato

Molto è stato scritto, e molto sarà ancora scritto, sulla riforma della disciplina dell’arbitrato contenuta nel d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149.

L’innegabile merito di questa riforma è quello di avvicinare il nostro sistema a quello di altri ordinamenti, che si riconoscono nella nostra medesima prospettiva di civiltà.

In questo senso vanno sicuramente interpretate le modifiche che hanno (finalmente) permesso agli arbitri di emettere provvedimenti cautelari, e quelle relative alla disclosure e alla ricusazione degli arbitri.

Altre modifiche ci pongono poi tra gli ordinamenti più avanzati: basti pensare a quella concernente l’individuazione della legge applicabile, che consente alle parti e agli arbitri di fare riferimento a norme sostanziali che non siano state prodotte da alcun ordinamento statuale.

In questo contesto, di generale e grande soddisfazione, non possono però essere taciuti i limiti della riforma, che per di più derivano da formulazioni infelici delle nuove norme (a loro volta, conseguenza dell’urgenza con le quale sono state approvate, per di più con una anticipazione della loro entrata in vigore).

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