Arbitrato facoltativo?

Una clausola compromissoria prevede che le controversie relative al contratto in cui essa è inserita “potranno” essere decise da un Tribunale arbitrale: si tratta di un arbitrato facoltativo, nel senso che l’attore potrĂ  scegliere se adire il giudice statale o gli arbitri?  O invece la competenza a decidere le liti è senz’altro attribuita esclusivamente agli arbitri?  Oppure, infine, si tratta di una clausola compromissoria nulla o comunque inefficace?

Del tema avevo giĂ  avuto modo di parlare qui, commentando una ordinanza resa dal Tribunale di Milano.  Due recenti pronunzie mi inducono però a tornare sull’argomento: si tratta della sentenza della Corte di Appello di Bologna, Sez. I Civ., 12 novembre 2015, n. 1884 (disponibile qui) e della sentenza della Corte di Cassazione, Sez. VI Civ., 28 ottobre 2015, n. 22039 (disponibile qui).

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Clausola compromissoria e decreto ingiuntivo

Capita alle volte, quando si inserisce in un contratto una clausola compromissoria, che una delle parti voglia riservarsi la possibilitĂ  di agire in via monitoria, nella speranza di riuscire a ottenere un decreto ingiuntivo che, ove concesso provvisoriamente esecutivo, rappresenterebbe una energica (e anche abbastanza rapida) modalitĂ  di tutela delle sue ragioni di credito.

Le conseguenze di una simile scelta possono però essere diverse da quelle attese: se ne è occupata recentemente la Sesta Sezione della Corte di Cassazione, nella sua ordinanza n. 21666 del 23 ottobre 2015, disponibile qui.

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Clausola compromissoria: il caso della preposizione di troppo

Una recente pronuncia della Cassazione (la n. 18707 del 22 settembre 2015, disponibile qui) si è occupata di una fattispecie per alcuni versi singolare: era infatti sorta contestazione tra le parti sulla validitĂ  ed efficacia di una clausola compromissoria, a causa di una preposizione di troppo (per la precisione, un “di”) in essa contenuta.  

Va subito detto che la Cassazione (così come giĂ  aveva fatto il giudice di merito) ha evitato eccessi formalistici: per fortuna non si è quindi ripetuta la vicenda antica, citata da Gaio, di quel tale che – per aver sbagliato una parola di una legis actio – aveva perso la sua causa.

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Rinuncia alla clausola compromissoria

Il Tribunale di Roma (sentenza n. 19215 del 28 settembre 2015, disponibile qui) si è pronunciato nell’ambito di una complessa vicenda riguardante i rapporti tra una societĂ  a responsabilitĂ  limitata e un suo ex amministratore: in una prima causa, la societĂ  ha svolto l’azione sociale di responsabilitĂ ; in una seconda causa (che è quella definita con la sentenza in commento) l’amministratore ha agito in via monitoria per ottenere il saldo dei compensi a suo dire dovuti.  Tutto ciò, nonostante lo statuto della societĂ  contenesse, all’art. 26, una clausola compromissoria: “Tutte le controversie sorte fra i soci oppure tra i soci e la societĂ , gli amministratori, i liquidatori o i sindaci, aventi ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale, sono risolte da un arbitro unico nominato dal Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti nel cui ambito ha sede la societĂ  (…)“.  E in effetti nell’azione di responsabilitĂ  l’ex amministratore convenuto in giudizio ha sollevato nei confronti della societĂ  l’exceptio compromissi; eccezione che, specularmente, è stata sollevata dalla societĂ  nei confronti dell’ex amministratore nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Si è quindi posta la questione di una eventuale rinunzia delle parti alla clausola compromissoria, in conseguenza delle loro iniziative processuali.

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Ancora su arbitrato e fallimento

La Corte di Cassazione, in due recenti pronunzie, è tornata sul tema del rapporto tra arbitrato e fallimento.

La prima sentenza (Cass., Sez. I Civ., 24 giugno 2015, n. 13089, disponibile qui) riafferma l’antico e consolidato principio secondo il quale “in sede arbitrale non possono essere fatte valere ragioni di credito vantate verso una parte sottoposta a fallimento o ad amministrazione straordinaria, giacchĂ© l’effetto attributivo della cognizione agli arbitri (…) è in ogni caso (…) paralizzato dal prevalente effetto (…) dell’avocazione dei giudizi, aventi ad oggetto l’accertamento di un credito verso l’impresa sottoposta alla procedura concorsuale, allo speciale, ed inderogabile, procedimento di verificazione dello stato passivo“.

Maggiormente interessante è la seconda sentenza (Cass., Sezioni Unite Civili, 21 luglio 2015, n. 15200, disponibile qui), che ha affrontato il tema del rapporto tra arbitrato e fallimento nel caso in cui il procedimento arbitrale penda all’estero e quindi vengano in rilievo le disposizioni di cui al Regolamento (CE) n. 1346 del Consiglio del 29 maggio 2000 relativo alle procedure di insolvenza.

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Arbitrato e finanziamento soci

Sono devolute alla cognizione degli arbitri, in presenza di una clausola compromissoria statutaria, anche le controversie tra (ex) socio e società relative alla restituzione di un finanziamento soci, in quanto concernenti il rapporto sociale (pure nel caso in cui esso sia nel frattempo cessato).  Questa, in estrema sintesi, è la ratio decidendi della sentenza della Terza Sezione del Tribunale di Roma, n. 18316 del 17 settembre 2015, il cui testo integrale è disponibile qui.

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Interpretazione della clausola compromissoria

La formulazione della clausola compromissoria dovrebbe essere effettuata con particolare attenzione, atteso che essa costituisce la fonte della potestas iudicandi degli arbitri e che non sempre potrĂ  porsi rimedio a suoi eventuali vizi a controversia insorta.

Tuttavia, capita che a tale clausola non venga dedicata l’attenzione necessaria, vuoi perché essa viene inserita all’ultimo momento in un contratto (non a caso, si parla di midnight clause), vuoi perché, raggiunto talvolta dopo estenuanti negoziazioni l’accordo sul resto del contenuto contrattuale, si sottovaluta il rischio che, proprio su quel contratto, possa sorgere una controversia.

Sull’interpretazione di una clausola compromissoria, dalla formulazione non particolarmente felice, si è espresso il Tribunale di Milano con ordinanza del 19/22 gennaio 2015 (qui il testo dell’ordinanza).

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Arbitrato in Italia

Arbitrato in Italia è nato, nel 2015, sotto forma di blog per iniziativa di Roberto Oliva.

L’idea che lo aveva ispirato era questa: diffondere la cultura dell’arbitrato in Italia e in tal modo accrescere l’impiego dello strumento arbitrale nel nostro Paese.

Nel corso degli anni, sono stati affrontati, in circa un centinaio di articoli, numerosi argomenti relativi all’istituto dell’arbitrato.

I lettori di Arbitrato in Italia sono costantemente aumentati nel corso del tempo, giungendo a numeri piĂą che lusinghieri, tenuto anche conto dell’argomento, settoriale e specialistico, affrontato.

A partire dal 2020, Arbitrato in Italia è poi diventato una rivista.  O meglio, due riviste: Arbitrato in Italia, la versione italiana (ISSN 2732-5695) e Arbitration in Italy, la versione inglese (ISSN 2732-5687).

L’obiettivo è sempre il medesimo: parlare di arbitrato in maniera seria, precisa, scientifica e al tempo stesso comprensibile e con un approccio pratico, far accrescere l’interesse degli operatori per l’arbitrato e contribuire così alla diffusione dello strumento.