Quali sono le controversie arbitrabili?

Ho letto con interesse una recente pronuncia della Cassazione (Cass., Sez. VI Civ., ord. 21 gennaio 2016, n. 1119, disponibile qui), in tema di definizione delle controversie arbitrabili, anche poiché ha offerto, in riferimento a un arbitrato di diritto comune, una interpretazione dei limiti di arbitrabilità non del tutto coincidente con quella che la stessa Suprema Corte impiega in caso di arbitrato societario.

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Arbitrabilità delle controversie societarie

Una recente pronunzia del Tribunale di Roma (sentenza n. 25936 del 30 dicembre 2015, disponibile qui) consente di svolgere una riflessione sul tema dell’arbitrabilità delle controversie societarie e in particolare di quelle aventi ad oggetto l’impugnazione di deliberazioni assembleari.

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Arbitrato ed embargo

La Corte di Cassazione si è recentemente espressa in una vicenda interessante: le conseguenze del divieto di intraprendere o proseguire rapporti economici con uno Stato sovrano (il c.d. embargo) sulla clausola compromissoria contenuta in un contratto anteriormente concluso con tale Stato sovrano.  

Il testo integrale della sentenza (la n. 23893 del 24 novembre 2015, pronunciata dalle Sezioni Unite) è disponibile qui.

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Arbitrato facoltativo?

Una clausola compromissoria prevede che le controversie relative al contratto in cui essa è inserita “potranno” essere decise da un Tribunale arbitrale: si tratta di un arbitrato facoltativo, nel senso che l’attore potrà scegliere se adire il giudice statale o gli arbitri?  O invece la competenza a decidere le liti è senz’altro attribuita esclusivamente agli arbitri?  Oppure, infine, si tratta di una clausola compromissoria nulla o comunque inefficace?

Del tema avevo già avuto modo di parlare qui, commentando una ordinanza resa dal Tribunale di Milano.  Due recenti pronunzie mi inducono però a tornare sull’argomento: si tratta della sentenza della Corte di Appello di Bologna, Sez. I Civ., 12 novembre 2015, n. 1884 (disponibile qui) e della sentenza della Corte di Cassazione, Sez. VI Civ., 28 ottobre 2015, n. 22039 (disponibile qui).

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Clausola compromissoria e decreto ingiuntivo

Capita alle volte, quando si inserisce in un contratto una clausola compromissoria, che una delle parti voglia riservarsi la possibilità di agire in via monitoria, nella speranza di riuscire a ottenere un decreto ingiuntivo che, ove concesso provvisoriamente esecutivo, rappresenterebbe una energica (e anche abbastanza rapida) modalità di tutela delle sue ragioni di credito.

Le conseguenze di una simile scelta possono però essere diverse da quelle attese: se ne è occupata recentemente la Sesta Sezione della Corte di Cassazione, nella sua ordinanza n. 21666 del 23 ottobre 2015, disponibile qui.

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Clausola compromissoria: il caso della preposizione di troppo

Una recente pronuncia della Cassazione (la n. 18707 del 22 settembre 2015, disponibile qui) si è occupata di una fattispecie per alcuni versi singolare: era infatti sorta contestazione tra le parti sulla validità ed efficacia di una clausola compromissoria, a causa di una preposizione di troppo (per la precisione, un “di”) in essa contenuta.  

Va subito detto che la Cassazione (così come già aveva fatto il giudice di merito) ha evitato eccessi formalistici: per fortuna non si è quindi ripetuta la vicenda antica, citata da Gaio, di quel tale che – per aver sbagliato una parola di una legis actio – aveva perso la sua causa.

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Rinuncia alla clausola compromissoria

Il Tribunale di Roma (sentenza n. 19215 del 28 settembre 2015, disponibile qui) si è pronunciato nell’ambito di una complessa vicenda riguardante i rapporti tra una società a responsabilità limitata e un suo ex amministratore: in una prima causa, la società ha svolto l’azione sociale di responsabilità; in una seconda causa (che è quella definita con la sentenza in commento) l’amministratore ha agito in via monitoria per ottenere il saldo dei compensi a suo dire dovuti.  Tutto ciò, nonostante lo statuto della società contenesse, all’art. 26, una clausola compromissoria: “Tutte le controversie sorte fra i soci oppure tra i soci e la società, gli amministratori, i liquidatori o i sindaci, aventi ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale, sono risolte da un arbitro unico nominato dal Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti nel cui ambito ha sede la società (…)“.  E in effetti nell’azione di responsabilità l’ex amministratore convenuto in giudizio ha sollevato nei confronti della società l’exceptio compromissi; eccezione che, specularmente, è stata sollevata dalla società nei confronti dell’ex amministratore nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Si è quindi posta la questione di una eventuale rinunzia delle parti alla clausola compromissoria, in conseguenza delle loro iniziative processuali.

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Ancora su arbitrato e fallimento

La Corte di Cassazione, in due recenti pronunzie, è tornata sul tema del rapporto tra arbitrato e fallimento.

La prima sentenza (Cass., Sez. I Civ., 24 giugno 2015, n. 13089, disponibile qui) riafferma l’antico e consolidato principio secondo il quale “in sede arbitrale non possono essere fatte valere ragioni di credito vantate verso una parte sottoposta a fallimento o ad amministrazione straordinaria, giacché l’effetto attributivo della cognizione agli arbitri (…) è in ogni caso (…) paralizzato dal prevalente effetto (…) dell’avocazione dei giudizi, aventi ad oggetto l’accertamento di un credito verso l’impresa sottoposta alla procedura concorsuale, allo speciale, ed inderogabile, procedimento di verificazione dello stato passivo“.

Maggiormente interessante è la seconda sentenza (Cass., Sezioni Unite Civili, 21 luglio 2015, n. 15200, disponibile qui), che ha affrontato il tema del rapporto tra arbitrato e fallimento nel caso in cui il procedimento arbitrale penda all’estero e quindi vengano in rilievo le disposizioni di cui al Regolamento (CE) n. 1346 del Consiglio del 29 maggio 2000 relativo alle procedure di insolvenza.

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Arbitrato e finanziamento soci

Sono devolute alla cognizione degli arbitri, in presenza di una clausola compromissoria statutaria, anche le controversie tra (ex) socio e società relative alla restituzione di un finanziamento soci, in quanto concernenti il rapporto sociale (pure nel caso in cui esso sia nel frattempo cessato).  Questa, in estrema sintesi, è la ratio decidendi della sentenza della Terza Sezione del Tribunale di Roma, n. 18316 del 17 settembre 2015, il cui testo integrale è disponibile qui.

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