Roberto Oliva

L’arbitrato costituisce, sia da un punto di vista storico che in una buona parte delle sue manifestazioni, un meccanismo di risoluzione delle controversie che si possono definire a struttura semplice, o bilaterale: controversie, in altri termini, che vedono tra loro contrapposte due parti, una che nel procedimento assumerà le vesti della parte attrice, e l’altra che invece sarà convenuta.

Non a caso, il modello legale di formazione del Tribunale arbitrale, contenuto nell’art. 810 cod. proc. civ., riflette questa struttura binaria e prevede che ciascuna parte nomini un arbitro e che il terzo arbitro sia nominato congiuntamente dagli altri due.

Non sono però infrequenti i casi in cui la controversia abbia una struttura complessa, vuoi perché le parti del rapporto oggetto della cognizione arbitrale sono più di due, vuoi perché in un momento successivo alla conclusione del patto arbitrale si realizzano fenomeni che aumentano il numero di parti: un esempio evidente è il caso della successione, per effetto della quale a un dante causa subentrano due o più successori.

Il fenomeno dell’arbitrato con pluralità di parti è disciplinato dall’art. 816-quater cod. proc. civ., introdotto con la riforma del 2006, che sul punto ha in parte recepito le precedenti elaborazioni, in dottrina e giurisprudenza, che si erano sforzate di salvaguardare la volontà delle parti di fare ricorso all’arbitrato per liti plurisoggettive.

In estrema sintesi, la disposizione consente lo svolgimento di un procedimento arbitrale con pluralità di parti, tutte vincolate dalla stessa convenzione di arbitrato, in tre ipotesi: (i) se tutti gli arbitri sono nominati da un terzo; (ii) se tutti gli arbitri sono nominati con l’accordo di tutte le parti; (iii) se, dopo che una parte ha nominato uno o più arbitri, le altre parti nominano d’accordo un uguale numero di arbitri (o ne affidano a un terzo la nomina). Se nessuna di queste ipotesi si realizza, il procedimento, nato come unitario, si scinde in tanti procedimenti quanti sono i convenuti. Salvo nel caso di litisconsorzio necessario, in cui la scissione non è possibile e l’arbitrato dunque è improcedibile, con riespansione della competenza del Giudice statuale.

La norma non è priva di profili di criticità e rari sono i precedenti che ne hanno fatto applicazione, sì che particolarmente interessanti sono due recenti pronunzie, peraltro pressoché contemporanee, rese l’una in sede arbitrale (lodo del 15 gennaio 2021, disponibile qui) e l’altra dal Giudice statuale (Corte d’appello di Milano, 29 gennaio 2021 n. 286, disponibile qui).

Conviene prendere le mosse da quest’ultima.

La Corte d’appello era stata adita in un procedimento di impugnazione di lodo arbitrale.

Il procedimento arbitrale era stato promosso da più attori nei confronti di più convenuti. Gli attori avevano nominato un unico arbitro; due dei convenuti a loro volta avevano nominato un unico arbitro; un altro convenuto ha invece nominato un ulteriore arbitro. Il terzo arbitro, con riferimento al solo rapporto processuale tra gli attori e i due convenuti che avevano nominato un unico arbitro, è stato designato dal Presidente del Tribunale. A questo punto, il convenuto che aveva nominato un diverso arbitro è intervenuto nel procedimento, eccependo tra l’altro il difetto di costituzione del Tribunale arbitrale e l’improcedibilità del procedimento, allegando la presenza di un litisconsorzio necessario.

Gli attori avevano formulato una domanda risarcitoria ex artt. 1337 e 1440 cod. civ., alla quale avevano resistito i convenuti, proponendo pure domanda riconvenzionale volta a veder dichiarare la nullità di un accordo precedente a quello, contenente la clausola compromissoria, la cui negoziazione e conclusione avrebbe fatto sorgere la suddetta responsabilità risarcitoria.

Il Tribunale arbitrale ha ritenuto che la controversia ex artt. 1337 e 1440 cod. civ. non desse luogo a un’ipotesi di litisconsorzio necessario e che la domanda riconvenzionale, in relazione alla quale non sussisteva la competenza arbitrale, neppure potesse comportare l’improcedibilità del procedimento. Ha dunque rigettato le eccezioni pregiudiziali e deciso la controversia nel merito.

La Corte d’appello ha respinto l’impugnazione che sul punto è stata proposta.

Da un lato, ha confermato la natura solo facoltativa del litisconsorzio relativo alle domande ex artt. 1337 e 1440 cod. civ., sottolineando come sia pacifico che non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario quando la controversia ha ad oggetto un’obbligazione solidale.

Dall’altro lato, la Corte ha rilevato, per quanto attiene alla domanda riconvenzionale proposta in sede arbitrale, e a prescindere dalla mancata impugnazione della statuizione degli arbitri circa l’estraneità di tale domanda rispetto alla clausola compromissoria azionata, che l’eventuale sussistenza di un litisconsorzio necessario rispetto a tale domanda non determinerebbe, di per sé, l’improcedibilità dell’intero procedimento arbitrale, giacché il Tribunale arbitrale ben potrebbe (come nel caso di specie effettivamente ha fatto) pronunciarsi con efficacia di giudicato sulle domande proposte dagli attori e, in via incidentale, ai sensi dell’art. 819 cod. proc. civ., su quella riconvenzionale.

La decisione della Corte d’appello – e a monte di essa quella degli arbitri – pare corretta e condivisibile nel caso di specie, sia su un piano strettamente giuridico, in relazione all’applicazione degli artt. 816-quater e 819 cod. proc. civ., sia sul diverso e contiguo piano delle conseguenze, per così dire, sistematiche. Sono infatti disincentivate pratiche, che si potrebbero definire di filibustering, consistenti nell’opporre a una domanda che integra un litisconsorzio facoltativo altra domanda che implica invece un litisconsorzio necessario al solo scopo di creare un’eccezione processuale che possa differire la cognizione del merito. Nondimeno, sul punto, e sull’applicazione dell’art. 819 cod. proc. civ., una più approfondita riflessione pare necessaria per ipotesi, diverse da quella conosciuta dagli arbitri e dalla Corte d’appello, in cui sussista un più intimo legame tra le domande che implicano il solo litisconsorzio facoltativo e quelle che comportano invece un litisconsorzio necessario.

Si può dunque passare alla vicenda decisa dagli arbitri nel gennaio 2021.

In quel caso, una parte aveva agito nei confronti di due convenuti, eredi dell’originaria controparte contrattuale (la vicenda successoria era in realtà più complessa, ma la sua complessità qui non rileva), lamentando in buona sostanza un inadempimento degli impegni assunti.

Solo uno dei convenuti provvedeva a nominare un arbitro; l’attore ha quindi chiesto al Presidente del Tribunale di nominare l’arbitro per l’altro convenuto e la scelta presidenziale è caduta sulla stessa persona già individuata dal primo convenuto.

Con il lodo in commento, il Tribunale arbitrale, a fronte delle eccezioni svolte dai convenuti in punto improcedibilità del procedimento arbitrale, ha ritenuto che questo dovesse essere scisso in due distinti procedimenti, ai sensi dell’art. 816-quater, co. 2, cod. proc. civ., in ragione del carattere solo facoltativo del litisconsorzio processuale che si era realizzato.

Si tratta di una delle rare decisioni, sulla cui opportunità e finanche possibilità si è intrattenuta attenta dottrina, rese in sede arbitrale in punto natura del litisconsorzio e scissione del procedimento arbitrale.

Un aspetto pare tuttavia non essere stato considerato dagli arbitri: i due convenuti – uno per sua scelta e l’altro per effetto del provvedimento presidenziale – hanno nominato lo stesso arbitro, sì che ci si sarebbe potuti interrogare circa la realizzazione di una delle ipotesi che, ai sensi dell’art. 816-quater, co. 1, cod. proc. civ., consentono il simultaneus processus. E mentre è senz’altro apprezzabile la prudenza del Tribunale arbitrale, un approfondimento sul tema sarebbe stato opportuno e particolarmente interessante, attesa la rarità con cui una simile fattispecie può realizzarsi.

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