I limiti della “decisione della terza via”

Un contratto prevede che una parte si occupi degli oneri progettuali per il frazionamento di un immobile e l’altra proceda all’acquisto per poi trasferire una porzione al primo contraente. Sorge controversia sull’adempimento e viene adito il collegio arbitrale, che liquida un danno ridotto applicando d’ufficio l’art. 1227 cod. civ. per concorso di colpa del creditore. Nondimeno, la parte soccombente lamenta violazione del contraddittorio per “decisione della terza via”.

A quali condizioni può considerarsi violato il principio del contraddittorio nell’arbitrato rituale?

Una recente sentenza della Corte di Appello di Bologna (n. 724 del 22 aprile 2025, disponibile qui) offre l’occasione per tornare su questa delicata questione.

Il caso trae origine da un accordo del novembre 2021 contenente clausola compromissoria, relativa all’acquisto “disgiunto” di due porzioni di un immobile. Il contratto prevedeva obbligazioni reciproche: una parte doveva occuparsi degli oneri progettuali e fiscali per il declassamento e frazionamento dell’immobile (corrispettivo €45.000), mentre l’altra doveva acquistare l’intero immobile dai proprietari per poi trasferire una delle due unità risultanti dal frazionamento.

Il tribunale arbitrale, pur riconoscendo l’adempimento formale delle prestazioni da parte del promissario acquirente, ha liquidato un risarcimento ridotto di soli €19.000, applicando d’ufficio l’art. 1227 c.c. per concorso di colpa del creditore, rilevando “scarsa trasparenza in punto di quantum” circa le spese sostenute e documentazione “priva di data certa”.

L’impugnante ha contestato il lodo sotto plurimi profili, il principale dei quali riguardava la presunta violazione del contraddittorio ex art. 829, co. 1, n. 9 cod. proc. civ., lamentando che la soluzione adottata dal collegio non traeva origine “da una diversa interpretazione e qualificazione delle domande” ma da “una questione rilevata d’ufficio soltanto in fase decisoria e, come tale, mai discussa né trattata in atti”.

La Corte di Appello ha respinto tale doglianza, richiamando il consolidato principio secondo cui la nullità per violazione del contraddittorio deve essere esaminata “non sotto il profilo formale, ma nell’ambito di una ricerca volta all’accertamento di una effettiva lesione della possibilità di dedurre e contraddire”. Nel caso di specie, i fatti relativi alle inadempienze erano stati “ampiamente affrontati in sede di arbitrato” e oggetto di “prova testimoniale”, sicché l’applicazione dell’art. 1227 cod. civ. come “qualificazione giuridica dei fatti” non aveva violato il principio del contraddittorio.

Come noto, il nostro ordinamento prevede che l’impugnazione per nullità del lodo arbitrale costituisca un “giudizio a critica vincolata proponibile soltanto per determinati errores in procedendo specificamente previsti” dall’art. 829 cod. proc. civ. La violazione del contraddittorio, disciplinata dal n. 9 della norma, rappresenta uno dei vizi più frequentemente invocati ma anche più difficili da dimostrare.

La Corte bolognese ha fondato la propria decisione su alcuni principi consolidati. In primo luogo, ha ribadito che la distinzione tra fatto e diritto nell’applicazione delle norme mantiene rilevanza anche nel processo arbitrale: se i fatti sono stati oggetto di contraddittorio, la loro diversa qualificazione giuridica non comporta violazione del principio.

In secondo luogo, ha precisato che il vizio di violazione del contraddittorio deve essere “specificamente allegato”, non potendo limitarsi a una “denuncia meramente formale” ma dovendo indicare “lo specifico pregiudizio che esso abbia arrecato al diritto di difesa”.

La Corte ha inoltre confermato l’orientamento secondo cui i motivi di nullità del lodo sono tassativamente previsti dall’art. 829 c.p.c., respingendo le doglianze relative alla “nullità della decisione a sorpresa” in quanto non sussumibili “ai casi tassativamente previsti” dalla norma.

La pronuncia in commento offre alcuni spunti di riflessione per la pratica arbitrale.

Dal punto di vista degli arbitri, emerge l’importanza di motivare adeguatamente l’applicazione di principi giuridici non specificamente invocati dalle parti, pur potendo fare affidamento sul fatto che la mera qualificazione giuridica di fatti oggetto di contraddittorio non integra violazione del principio.

Per gli avvocati difensori delle parti in arbitrato, la sentenza conferma la necessità di una strategia difensiva articolata nell’impugnazione per nullità, dovendo dimostrare non solo il vizio astratto ma anche il concreto pregiudizio al diritto di difesa. La generica denuncia di “decisione della terza via” non appare sufficiente se i fatti rilevanti sono stati oggetto di discussione.

Rimane aperta la questione dei limiti entro cui gli arbitri possano applicare d’ufficio istituti giuridici non espressamente invocati. Se per il primo comma dell’art. 1227 cod. civ. la giurisprudenza appare consolidata nel senso della legittimità (trattandosi di criterio di liquidazione del danno), maggiori dubbi potrebbero sorgere per l’applicazione di altri istituti, quale anche il secondo comma dello stesso art. 1227 cod. civ.

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