Roberto Oliva

La Corte di Appello di Milano ha reso una sentenza molto interessante in relazione all’impugnazione (respinta) di un lodo ICC (sentenza n. 3123 del 12 luglio 2019, disponibile qui).

La vicenda era significativamente complessa, come dimostrato tra l’altro dalla levatura dei componenti del Tribunale arbitrale e dei professionisti coinvolti. 

In estrema sintesi, e con una certa approssimazione, essa riguardava le vicende relative ad alcuni contratti di concessione d’uso inalienabile (c.d. “IRU” o “Indefeasible Right of Use”) di infrastrutture di telecomunicazione e di manutenzione delle stesse.

Rimasta inadempiuta l’obbligazione di pagamento del canone di manutenzione per l’anno 2014, il manutentore (Interoute) ha richiesto e ottenuto un decreto ingiuntivo, salvo poi rinunciarvi nel momento in cui il suo preteso debitore (Clouditalia) ha proposto opposizione eccependo la carenza di giurisdizione del Giudice statale in forza della clausola compromissoria contrattuale, che prevedeva un arbitrato ICC con sede a Milano.

Clouditalia ha allora agito in prevenzione, promuovendo il procedimento arbitrale, dove ha chiesto, tra le altre cose, l’accertamento dell’inadempimento di Interoute agli obblighi derivanti dal contratto di manutenzione e del suo diritto a rinegoziare i termini di questo contratto.

Interoute si è costituita nel procedimento arbitrale e, oltre a chiedere il rigetto delle domande avversarie, ha pure domandato, in via riconvenzionale, la condanna di Clouditalia al pagamento dei canoni di manutenzione scaduti.

Il Tribunale arbitrale ha dichiarato sussistente un obbligo di rinegoziazione del contratto di manutenzione, ha accertato un inadempimento da parte di Interoute a questo obbligo e, riqualificando le domande di Clouditalia in termini di eccezione di inadempimento, ha ritenuto che solo una parte del diritto di credito di Interoute fosse esigibile.

Interoute ha impugnato il lodo sulla base di diversi motivi.  Due però in particolare mi sembrano interessanti.

Interoute ha lamentato una violazione, da parte del Tribunale arbitrale, delle norme di diritto applicabili al merito della controversia.  Poiché l’arbitrato era stato promosso sulla base di una clausola compromissoria conclusa prima della riforma del 2006 (ho affrontato il tema, da ultimo, in questo post), questo motivo di impugnazione sarebbe astrattamente ammissibile.  La Corte di Appello di Milano ha però ritenuto che non lo fosse.  Ha infatti considerato, a mio avviso correttamente, che le parti hanno rinunziato a tutti i mezzi di impugnazione cui possono rinunziare – e quindi senz’altro hanno rinunziato a lamentare la violazione di norme di diritto applicabili al merito – poiché hanno richiamato, nella clausola compromissoria, il regolamento arbitrale ICC, ai sensi del quale “Il lodo è vincolante per le parti. La sottoposizione della controversia al regolamento comporta per le parti l’impegno a dare prontamente esecuzione al lodo e la presunzione che esse abbiano rinunciato a tutti i mezzi di impugnazione cui possono validamente rinunciare” (art. 34.6 del regolamento 2012, disponibile qui, ossia il regolamento applicabile alla procedura).  Il fatto poi che la stessa disposizione fosse contenuta nel regolamento ICC vigente ai tempi della stipulazione della clausola compromissoria (art. 28.6 del regolamento 1998, disponibile qui) ha consentito alla Corte di Appello di non soffermarsi sul tema della natura del rapporto tra l’istituzione arbitrale, il suo regolamento e le parti.

Un altro tema interessante riguarda la riqualificazione, da parte del Tribunale arbitrale, della domanda svolta da una delle parti. Il lodo è stato impugnato anche in ragione di tale riqualificazione, che la parte impugnante ha ritenuto lesiva, tra l’altro, del suo diritto di difesa. La Corte di Appello è stata di diverso avviso e ha dato seguito al suo orientamento, secondo il quale non è impugnabile il lodo se non ha giudicato in relazione a fatti diversi da quelli allegati e provati dalle parti, ma si è limitato a qualificare diversamente quei fatti dal punto di vista giuridico (una simile pronunzia era stata emessa quasi un anno fa, il 16 agosto 2018, ed è pubblicata su Giurisprudenza Arbitrale, con una nota del prof. Villa).

La sentenza della Corte di Appello riferisce in ogni caso che il tema della relazione tra l’inadempimento di Interoute all’obbligo di rinegoziazione e il rifiuto di Clouditalia ad adempiere al suo obbligo di pagamento era stato trattato nel corso del procedimento arbitrale: cosa che esclude una violazione del contraddittorio. Detto in altri termini: la vicenda decisa dalla Corte di Appello di Milano è ben diversa dal recente caso inglese P v D [2019] EWHC 1277 (Comm) (disponibile qui), che ha visto l’annullamento del lodo poiché il Tribunale arbitrale aveva tra l’altro basato la sua decisione su istituti non invocati dalle parti.  Non sussiste quindi uno scostamento tra la prassi italiana e quella straniera in tema di rispetto del principio del contraddittorio in arbitrato.

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