Arbitrato societario: i principi sono (finalmente) corretti; la loro applicazione è ancora errata

Roberto Oliva

Quello dell’arbitrato societario è ancora un tema di vivo interesse per chi si occupa di arbitrato in Italia.  La Corte di Cassazione ha affermato dei principi non del tutto condivisibili.  Alcuni giudici di merito hanno tentato di seguire un approccio più corretto, ma sinora invano (ho parlato del tema, ad esempio, qui).

Una recente pronunzia del Tribunale di Bologna (n. 1378 del 13 giugno 2019, disponibile qui) ha espressamente applicato principi corretti (o principi che a mio avviso tali sono), per giungere nondimeno a un risultato che mi sembra errato.

La vicenda decisa dal Tribunale di Bologna riguardava alcune deliberazioni assunte dall’assemblea di una società a responsabilità limitata. 

A dire dell’attore, queste deliberazioni erano nulle perché perseguivano l’intendo di aggirare disposizioni inderogabili di legge sulla corporate governance

La società convenuta si è difesa, tra l’alto, sollevando eccezione di compromesso, sulla base della clausola compromissoria contenuta nel suo statuto.

Il Tribunale ha respinto questa eccezione, affermando che quella particolare controversia non era arbitrabile.

Come noto, le controversie societarie sono arbitrabili se riguardano diritti disponibili (art. 34, co. 1, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5).

Cosa significa “diritti disponibili”?

Il Tribunale di Bologna ha richiamato la giurisprudenza della Suprema Corte, ad avviso della quale l’area della non compromettibilità è ristretta all’assoluta indisponibilità del diritto, e quindi alle sole nullità insanabili (Cass., Sez. VI Civ., 20 settembre 2012, n. 15890, disponibile qui).

Il principio, a mio avviso, è corretto.

Secondo questo orientamento, le sole controversie societarie che non possono essere decise dagli arbitri sono quelle che riguardano le deliberazioni che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività impossibili o illecite. Infatti, la nullità insanabile è prevista solo per queste deliberazioni (art. 2479/ter, co. 3, cod. civ.).

Il Tribunale di Bologna, a mio avviso, ha fatto cattiva applicazione di un principio corretto.

Come detto, la controversia decisa dal Tribunale di Bologna riguardava talune deliberazioni di una società a responsabilità limitata, in tesi di parte attrice nulle, perché volte ad aggirare norme inderogabili concernenti la corporate governance.  Conseguentemente, il loro oggetto sarebbe stato illecito. Il Giudice può d’ufficio dichiarare la nullità di simili deliberazioni. Nondimeno, ciò può avvenire entro tre anni dalla loro trascrizione nel libro delle deliberazioni dei soci. Questo significa che la legge non prevede una loro nullità insanabile e che, pertanto, la controversia concernente tali delibere è arbitrabile.

Confido di potere, in un futuro auspicabilmente vicino, commentare una decisione che, sulla base di un principio corretto, arrivi alla corretta conclusione.

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