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Bias cognitivi e arbitrato

Relazione tenuta il 10 aprile 2025 al convegno «La decisione degli arbitri tra bias cognitivi e intelligenza artificiale» organizzato da ArbIt – Italian Forum for Arbitration and ADR.

1. Tre premesse

Per affrontare il tema dei bias cognitivi in arbitrato sono opportune tre premesse.

La prima è che il tema dei bias cognitivi assume una valenza pressoché solo preventiva.

Se si tratta di un lodo domestico il lodo non può essere impugnato per errori di fatto e oggi, salvo diversa previsione della convenzione arbitrale, non può essere impugnato neppure per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia (fatto salvo il caso estremo dell’impugnazione delle decisioni per contrarietà all’ordine pubblico) (art. 829, co. 3, cod. proc. civ.).

Sicché quanto si dice in tema dei bias cognitivi è in realtà rivolto agli arbitri di buona volontà, perché cerchino di evitare di commettere errori cognitivi nel redigere i loro lodi, e non alla Corte d’Appello in sede di impugnazione dei lodi perché sappia come scoprirli e quindi censurarli.

Gli arbitri hanno l’obbligo di redigere un lodo valido, e dunque non impugnabile con fondamento, e un lodo che possa essere eseguito.

Ma gli arbitri per bene sentono anche l’obbligo di redigere un lodo privo di errori.

Per i difensori in arbitrato, fare in modo che gli arbitri non cadano in errori cognitivi deve essere la prima preoccupazione.

a seconda premessa è che, quando parliamo di arbitrato, parliamo di un fenomeno non unitario, e ciò rileva anche per il nostro tema.

Altro è l’arbitrato di civil law, altro è l’arbitrato di common law (1).

Il primo è caratterizzato da un ruolo proattivo dell’arbitro, la forma scritta prevale, non vi è obbligo di disclosure, i testi sono interrogati dall’arbitro, gli esperti sono nominati dall’arbitro, le udienze, brevi, sono di trattazione istruttoria, o di assunzione dei testi.

Il secondo è in mano ai difensori delle parti, l’arbitro è passivo, l’oralità prevale, vi è un obbligo di disclosure, i testi sono “cross esaminati” dalle parti, gli esperti sono nominati dalle parti, si tiene una udienza di più giorni, in cui il merito viene discusso e vengono esaminati i testi e gli esperti.

Questa differenza è rilevante sia per quanto attiene ai possibili bias degli arbitri sia, e soprattutto, per l’intervento dei difensori per evitarli.

La terza premessa è che il tema dei bias cognitivi è stato affrontato anche con riferimento alle scelte economiche, mettendo in evidenza bias che non rilevano con riferimento alla decisione giudiziale e arbitrale in particolare. 

È dunque necessaria una selezione dei bias rilevanti per l’arbitrato, e partirò da qui.

2. I bias rilevanti per l’arbitro

Le neuroscienze hanno elaborato un elenco dei più rilevanti errori cognitivi, o bias.

Come dicevo, non tutti rilevano con riferimento alla decisione di una controversia, ed in particolare alla pronuncia di un lodo arbitrale.

Provo ad individuare i bias che mi sembrano più rilevanti, esponendoli secondo un ordine che mi pare opportuno.

(a) Per decidere occorre acquisire informazioni sul tema decidendum.

L’arbitro deve raccogliere informazioni sui fatti e sulle argomentazioni giuridiche.

Un primo bias è l’anchoring bias: l’arbitro si fa un’idea sulla base della prima informazione e poi dà rilevanza solo alla prima informazione, trascurando le informazioni successive.

Connesso è il confirmation bias: l’arbitro dà rilevanza solo alle informazioni che confermano l’idea che si è fatta, e trascura le informazioni che la smentirebbero.

Non occorre che dica a chi mi ascolta che non sto dicendo nulla di nuovo.

Francesco Bacone, nel 1620 nel Novum Organum nel libro I, al paragrafo 46 scrive: «L’intelletto umano, se qualcosa gli piacque, o perché fu ricevuta e creduta o perché ne ebbe soddisfazione, tende a ridur tutto il resto a corrispondere o coincidere con essa: E se la forza e il numero dei fatti ad essa contraddittori sia maggiore, o non li osserva, o li disdegna o, distinguendo, li confonde e allontana non senza grave pregiudizio, purché l’autorità di quelle prime affermazioni rimanga inviolata».

Per l’arbitrato questo errore cognitivo pone un problema.

L’atto introduttivo dell’arbitrato, e la risposta ad esso, nella prassi sono sommari: il Regolamento CAM 2023 prevede espressamente all’art. 11 che la risposta alla domanda di arbitrato contenga «l’esposizione anche breve e sommaria delle difese»; il Regolamento ICC prevede la predisposizione dei terms of reference, essi pure sommari nell’esposizione dei fatti e delle ragioni delle parti.

A mio parere – per evitare la suggestione di una «prima impressione» – è bene che gli arbitri «mettano nel cassetto», mentalmente, questi atti introduttivi, e prendano in considerazione i successivi, esaurienti, atti delle parti, dallo statement of claim e dalla reply in avanti.

Un terzo bias è l’Availability Heuristic: l’arbitro basa la sua decisione sulle informazioni che gli è agevole reperire. Di qui il suggerimento ai difensori di evitare sterminate produzioni in documenti allegati di testi di autori o di sentenze o di perizie, il cui succo non sia evidenziato nelle memorie.

(b) Nel decidere, l’arbitro deve guardarsi da due bias: l’Overconfidence bias, che lo porterebbe ad avere troppa fiducia in se stesso, ed a pensare di avere già capito tutto, e l’Halo Effect, che lo porta a dare ragione alla parte che lo ha convinto su un punto anche su tutti gli altri punti.

(c) Nel decidere, l’arbitro deve evitare due altri bias: l’Hindsight bias, che lo porterebbe a ritenere che, se qualcosa è poi accaduto, ciò era prevedibile anche prima, e lo Status quo bias, che lo porterebbe a preferire una soluzione solo perché quella consolidata.

La decisione arbitrale è di regola collegiale.

Ho già avuto modo di sottolineare come una vera collegialità della decisione possa costituire il migliore antidoto contro gli errori cognitivi (2).

3. Bias cognitivi e decisione collegiale

Un primo errore cognitivo può derivare dal group thinking, il fenomeno rappresentato dalla pressione di un gruppo coeso verso il raggiungimento di una decisione uniforme e condivisa piuttosto che verso la migliore risoluzione del problema.

Nel caso dell’arbitrato la ricerca di un lodo unanime può essere incentivata dall’aspirazione ad un lodo che meglio possa resistere ad una impugnazione.

Ora è comprensibile che il presidente veda con favore un lodo unanime, ma non c’è nulla di male in una decisione a maggioranza. Molti lodi errati sono figli non tanto di errori cognitivi, magari indotti dal group thinking, quanto dal desiderio di raggiungere ad ogni costo l’unanimità.

Gli psicologi cognitivi mettono poi in evidenza il fenomeno della «polarizzazione di gruppo», fenomeno che mostra come gli individui di un gruppo, quando devono prendere decisioni, tendono ad estremizzare le loro posizioni iniziali, con la conseguenza che giudici di una certa severità se riuniti in collegio pronunciano decisioni più severe di quelle che prenderebbero singolarmente. Ciò perché prima che inizi la discussione collegiale il singolo avrà una sua posizione iniziale, che poi esporrà al gruppo: se gli altri dovessero condividerla, il risultato sarà di estremizzare la posizione iniziale.

Proviamo a vedere se la polarizzazione di gruppo operi in arbitrato.

Anche in arbitrato il presidente ha in animo una propria posizione iniziale, ma suole ascoltare gli arbitri di parte designati dalle parti prima di esporla. Certo, se gli arbitri designati dalle parti si esprimono nello stesso senso della posizione iniziale del presidente, questi potrà essere intimamente confortato, e indotto anzi a proporre all’esito del colloquio con i co-arbitri una soluzione «più severa» di quella che aveva in animo.

Ma di regola, tenuto conto che due i co-arbitri sono designati dalle parti (salvo che nell’arbitrato societario o, spesso, nell’arbitrato multiparte), uno dei due co-arbitri argomenterà in direzione opposta rispetto alla posizione che il presidente ha in mente, e ciò potrà indurre quest’ultimo, nonostante l’adesione alla sua posizione da parte dell’altro arbitro, a moderare la sua posizione. In altre parole si può dire che in arbitrato ricorre in re ipsa il rimedio che gli psicologi cognitivi suggeriscono per ridurre gli effetti della polarizzazione, quello cioè di affidare a uno dei componenti del collegio il ruolo di «avvocato del diavolo».

4. Le strategie difensive per evitare gli errori cognitivi degli arbitri

È ovvio ricordare che le difese in arbitrato devono essere improntate in modo diverso dalle difese innanzi al giudice togato.

Ciò rileva anche ai fini del nostro tema.

Il dialogo tra difensori e arbitri è più stretto del dialogo tra difensori e giudice togato, in particolare oggi che il dialogo orale tra difensori e giudice togato è pressoché assente.

Qui rileva la distinzione tra arbitrato secondo il modello di common law e arbitrato secondo il modello di civil law.
Al riguardo mi limito ad osservare che se l’arbitrato è internazionale, quale che sia la sede dell’arbitrato, si sta consolidando una prassi intermedia tra i due modelli, con riferimento a strumenti di soft law (in particolare, le IBA rules on Evidence) (3).

Non mancano dunque le occasioni per i difensori per cercare di evitare errori cognitivi degli arbitri.
Altro tema, che non intendo affrontare, è quello delle strategie difensive per indurre gli arbitri in errori cognitivi.


(1) Una felice rappresentazione delle differenze è offerta dalla relazione di A. Crivellaro, International Arbitration. The combined influence of civil and common law improves the process and promotes advocacy, tenuto il 9 aprile 2025 a Parigi, alla Società Legislation Comparée.

(2) G. De Nova, Errori cognitivi e lodo arbitrale, in Riv. dir. arb., 2016, p. 575 ss.

(3) Si veda ancora la relazione di A. Crivellaro, sopra citata.

Giorgio De Nova: L’Avv. Prof. Giorgio De Nova è Emerito di Diritto Civile nell’Università degli Studi di Milano. È autore delle seguenti opere monografiche: Il tipo contrattuale, Padova, 1974; Il contratto ha forza di legge, Milano, 1993; Il contratto di leasing, 3a ed., Milano, 1994; Nuovi contratti, 2° ed., Torino, 1994; La riforma dell’arbitrato (insieme con Bernardini, Nobili, Punzi), Milano, 1994; Le clausole vessatorie, Milano, 1996; La subfornitura (con altri autori), Milano, 1998; La multiproprietà (con altri autori), Milano, 1999; L’acquisto di beni di consumo (con altri autori), Milano, 2002; I ritardi di pagamento nei contratti commerciali (con S. De Nova), Milano, 2003; Il contratto (insieme con Rodolfo Sacco), Torino, IV ed., 2016; Il franchising (con altri autori), Milano, 2004; L’acquisto di immobili da costruire (con altri autori), Milano, 2005; Il patto di famiglia (con altri autori), Milano, 2006; Il contratto alieno, G. Giappichelli Editore, Torino, 2008; Il Contratto. Dal contratto atipico al contratto alieno, CEDAM, Padova, 2011, Arbitrato, contratto, danno, G. Giappichelli Editore, Torino, 2019; Il Sale and Purchase Agreement, un contratto commentato, 4° ed., Torino, 2021. Dal 1978 l’Avv. Prof. Giorgio De Nova cura l’edizione annuale del Codice Civile e Leggi Collegate per Zanichelli. É socio dell’Associazione Italiana di Diritto Comparato della Association Capitant, della Associazione Italiana dell’Arbitrato. É membro corrispondente dell’Unidroit. L’Avv. Prof. Giorgio De Nova è direttore della Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, della Rivista Critica del Diritto Privato, della Rivista di diritto privato, della Rivista dell’Arbitrato, di Trusts, di Diritto del Commercio Internazionale. È curatore del Commentario Scialoja Branca Galgano. La sua attività di Arbitro o Presidente di Collegio arbitrale si è svolta e si svolge sia in procedure nazionali che internazionali con rifermento a più di 300 controversie. Quanto alla consulenza, ha da sempre avuto occasione di formulare pareri che vengono utilizzati nelle più importanti controversie e di predisporre contratti di significativa importanza; quanto al contenzioso, ha da sempre avuto occasione di affrontare questioni di particolare difficoltà e complessità. Nel 2008 gli è stata conferita dal Comune di Milano l’Ambrogino d’Oro, con la seguente motivazione: “Insigne civilista, è fra i più noti specialisti italiani di diritto privato. Professore ordinario all’Università Statale di Milano, è autore di numerose pubblicazioni. A una cultura giuridica enciclopedica, associa l’attività forense nella quale si distingue per il prestigioso ruolo svolto in procedure arbitrali a livello internazionale. Appassionato studioso, dal 1978 cura ogni anno l’edizione annotata del codice civile e delle leggi collegate, uno strumento prezioso per tutti gli operatori del diritto che ad esso fanno riferimento per trovare stimolo e sostegno alla propria attività”.
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