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Principio di autonomia

Il principio di autonomia della clausola compromissoria è oggi universalmente riconosciuto, dopo essersi affermato nel corso della prima metà del XX secolo: dapprima in alcuni ordinamenti e successivamente in altri.

Per impiegare le parole del nostro legislatore, esso può essere sintetizzato così come segue: “La validità della clausola compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto cui si riferisce” (art. 808, co. 2, cod. proc. civ.).

La strada del principio di autonomia è stata aperta in ambiente tedesco già al volgere del XIX secolo: così, ad esempio, la Corte suprema tedesca, nella sua decisione del 30 aprile 1890, aveva affermato che il vizio del contratto sottostante non ha come inevitabile conseguenza il vizio pure della clausola compromissoria; applicando tale principio, la Corte d’appello di Norimberga aveva affermato la competenza arbitrale a giudicare della validità del contratto (decisione del 24 maggio 1909), seguita dalla Corte d’appello di Dresda (decisione dell’11 gennaio 1912). I giudici tedeschi erano nondimeno restii ad applicare il principio di autonomia nei casi in cui l’invalidità del contratto sottostante derivava dalla sua illiceità (come nel caso di alcuni contratti di gioco: v.si Corte suprema tedesca, decisione del 18 maggio 1904).

Nel frattempo, il principio di autonomia si stava facendo strada anche in Svizzera ed è stato affermato dal Tribunale federale elvetico nelle sue decisioni del 22 ottobre 1881, 3 ottobre 1913 e 5 marzo 1915. Già nel 1933 si può trovare il principio di autonomia chiaramente espresso: “l’invalidità del contratto principale non rende immediatamente invalida la clausola compromissoria ivi contenuta; la clausola ai sensi della quale le controversie che sorgono dal contratto principale sono assoggettate all’arbitrato ricomprende, in caso di dubbio, anche le controversie relative alla validità e all’eccezione di simulazione” (Tribunale federale elvetico, decisione del 7 ottobre 1933).

Nel secondo dopoguerra e negli anni a noi più vicini, il principio di autonomia si è diffuso ed è stato, ad esempio, riconosciuto dalla Convenzione di New York del 1958, dalla legge modello dell’UNCITRAL del 1976, dalla riforma del codice di procedura francese del 1980 (che però ha codificato principi cui era già addivenuta la giurisprudenza) e dalla legge sull’arbitrato inglese del 1996.

In Italia, ancora agli inizi del XX secolo, la posizione prevalente in dottrina e giurisprudenza era quella secondo la quale le controversie sull’esistenza e sulla validità del contratto non rientrerebbero nell’ambito di applicazione della clausola compromissoria contenuta nello stesso contratto, giacché dall’invalidità del contratto discenderebbe pure l’invalidità delle clausola, con conseguente carenza del potere decisorio in capo agli arbitri: “posta in discussione la esistenza o la validità del contratto che comprende la clausola, è posta in forse la stessa giurisdizione degli arbitri” (così Codovilla, Del compromesso e del giudizio arbitrale, Torino, 1915, p. 344; in senso conforme pure Mattirolo, Trattato di diritto giudiziario civile, V ed., Torino, 1932, p. 761 oltre che, ancora nel XIX secolo, Amar, Dei giudizi arbitrali, Torino, 1868, p. 157).  Non era d’altronde isolata sul punto la posizione italiana: ragionamenti non dissimili venivano compiuti, ad esempio, secondo il diritto inglese (v.si ad esempio la decisione della Camera dei Lord del 20 febbraio 1942, Heyman v. Darwins Ltd).

Nella dottrina italiana del tempo, rara voce in senso contrario è stata quella di Carnelutti (Clausola compromissoria e competenza degli arbitri, nota critica a Tribunale di Venezia, 4 agosto 1920, in Riv. dir. comm., 1921, II, p. 327 ss.), il quale ha sottolineato l’ambiguità del termine “clausola” contenuto nell’espressione “clausola compromissoria”.

Clausola è senz’altro, nell’accezione più comune, una parte di una convenzione, che segue le sorti di questa, così come la parte segue le sorti del tutto. La clausola compromissoria, invece, è clausola nel senso che essa è una convenzione che si costituisce contemporaneamente a un’altra e in occasione di un’altra (il contratto sottostante), di cui però non è una mera parte.

Ci possono certo essere ipotesi in cui il vizio del contratto travolge anche la clausola compromissoria: si pensi ad esempio al caso, citato da Carnelutti (Clausola compromissoria, cit., p. 331), del contratto e della clausola conclusi da un incapace; oppure al caso, di più frequente applicazione pratica, del contratto la cui sottoscrizione è apocrifa. Ciò avviene perché il vizio del contratto comporta un vizio anche della clausola compromissoria. In tutti gli altri casi, però, il vizio del contratto non può costituire un vizio anche dell’autonoma stipulazione contenuta nella clausola compromissoria. Quest’ultima dunque non ne è travolta e in capo agli arbitri permane il potere decisorio.

La giurisprudenza nazionale nel dopoguerra ha aderito alla tesi dell’autonomia della clausola compromissoria rispetto al rapporto sottostante, con la conseguente insensibilità dell’uno ai vizi dell’altra, e viceversa (alle prime pronunzie degli anni ’50 del XX secolo hanno fatto seguito Cass., Sez. I Civ., 29 luglio 1964, n. 2161; Cass., Sez. I Civ., 27 gennaio 1967, n. 221; Cass., Sez. I Civ., 11 ottobre 1972, n. 3003; per arrivare infine a Cass., Sez. I Civ., 2 luglio 1981, n. 4279, che si cura di precisare che tale principio non trova applicazione in caso di clausola compromissoria per arbitrato irrituale, con orientamento ancora vivo nella giurisprudenza di legittimità: v.si Cass., Sez. I Civ., 9 aprile 2008, n. 9230 e Cass., Sez. I Civ., 29 marzo 2012, n. 5105).

Nello stesso senso si è espressa la dottrina (v.si ad esempio Rescigno, Arbitrato e autonomia contrattuale, in Riv. arb., 1991, p. 13 ss.).

Infine è intervenuto il legislatore, codificando nel 1994 il principio di autonomia della clausola compromissoria, che così da principio giurisprudenziale e dottrinario si è trasformato in precisa disposizione di legge.

All’esito di questo lungo percorso, si pongono due recenti pronunzie di merito: della Corte di appello di Ancona (sentenza n. 916 del 15 settembre 2020, disponibile qui) e del Tribunale di Catania (sentenza n. 3016 del 21 settembre 2020, disponibile qui).

Di fronte alla Corte di appello di Ancona si lamentava l’invalidità di un lodo pronunciato in un procedimento arbitrale irrituale, in cui era in discussione la risoluzione per inadempimento del contratto sottostante. A dire dell’appellante, il principio di autonomia non troverebbe applicazione all’ipotesi dell’arbitrato irrituale (e in effetti si è visto che questo è l’orientamento della giurisprudenza di legittimità), con la conseguenza che le controversie relative alla risoluzione del contratto sottostante non potrebbero essere conosciute dagli arbitri.

La Corte di appello ha respinto l’impugnazione, notando come le controversie concernenti la risoluzione riguardano il contratto non come negozio, ma come rapporto, e che la risoluzione incide non sull’atto, che rimane valido, ma sul rapporto, che viene per l’appunto risolto. Non vi è quindi neanche spazio per invocare l’autonomia (o la pretesa non autonomia) della clausola compromissoria rispetto al rapporto sottostante: la validità di questo non è in contestazione, sì che neppure può essere contestata la validità di quella.

Si tratta di una decisione che pare corretta e condivisibile: l’unico rammarico è che la Corte di appello non abbia colto l’occasione per esprimersi sull’applicazione del principio di autonomia anche in ipotesi di arbitrato irrituale: sarebbe infatti forse opportuna una rivisitazione dell’orientamento giurisprudenziale in materia.

Il Tribunale di Catania ha invece esaminato una complessa vicenda, in cui era stato simulato un rapporto societario, quando le parti desideravano costituire una comunione. Lo statuto della società, che il Tribunale ha ritenuto simulato, conteneva una clausola compromissoria. Sorta controversia tra le parti, il Tribunale ha rigettato l’eccezione di compromesso sollevata dalla convenuta, ritenendo che la simulazione del contratto sociale travolgesse anche la clausola compromissoria. Ha affermato in particolare il Giudice che la dichiarazione di inesistenza della società, in conseguenza della simulazione, ha per effetto l’inesistenza della clausola compromissoria.

Sembra, questa cui è pervenuto il Tribunale di Catania, una conclusione eccessiva, non in linea con il principio di autonomia, così come codificato dall’art. 808 cod. proc. civ., e dimentica della stessa evoluzione storica del suddetto principio, che come si è visto è stato affermato anche con preciso riferimento a casi in cui si denunciava la simulazione del contratto sottostante (v.si la già richiamata decisione del Tribunale federale elvetico del 7 ottobre 1933).

Questione diversa, che il Tribunale non ha affrontato nella pronunzia in commento, è quella dell’applicazione nel caso di specie dell’art. 34 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5. Detto in altri termini: la clausola compromissoria contenuta nello statuto di una società simulata deve rispettare i requisiti di forma-contenuto imposti dalla legge in materia di arbitrato societario (e quindi, innanzi tutto, prevedere che gli arbitri vengano nominati da un soggetto estraneo alla società)? Oppure è ammissibile, in caso di società simulata, un arbitrato di diritto comune?

Non risultano precedenti editi sul punto, né elaborazioni dottrinarie. A favore dell’applicazione delle disposizioni in materia di arbitrato societario depone la considerazione che, in caso contrario, la clausola sarebbe valida o invalida secundum eventum litis: valida ove si ritenesse effettivamente simulato il rapporto societario, invalida nell’ipotesi contraria. Si tratta però di un argomento che potrebbe essere fallace: in effetti, anche in caso di pretesa apocrifia della sottoscrizione apposta a un contratto contenente una clausola compromissoria la competenza arbitrale è sussistente o insussistente secundum eventum litis. A diverse conclusioni potrebbe poi pervenirsi ove la simulazione del rapporto non sia questione contestata tra le parti e dunque la validità della clausola non dipenda dalla soluzione della controversia su tale questione.

Roberto Oliva:
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