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Clausola compromissoria e contemporanea elezione di foro

Una recente sentenza del Tribunale di Milano (n. 7692 del 26 novembre 2020, disponibile qui) ha affrontato il tema della compresenza, all’interno del medesimo contratto, di una clausola compromissoria e di una clausola di elezione del foro.

Si tratta di un fenomeno, in parte rischioso, capace di rallentare già dalle prime battute eventuali iniziative processuali intraprese dalle parti per la tutela dei rispettivi diritti. Basti pensare all’eccezione d’incompetenza o alla cd. “eccezione d’arbitrato” che una parte potrebbe sollevare con la conseguenza di sollecitare, da un lato una pronuncia sul rito, e ritardare, dall’altro, la pronuncia sul merito. Il tema affrontato, oltre a essere di notevole rilevanza pratica, si pone in contrasto con uno dei capisaldi della materia, vale a dire il principio di celerità e speditezza dell’arbitrato. Infatti, da un contratto ambiguo, da cui non si comprende quale sia la sede (arbitrale o statuale) competente a dirimere eventuali controversie, possono derivare ritardi in grado di dilatare i tempi della procedura.

Si tratta di una conseguenza particolarmente negativa, soprattutto per quelle parti che, scegliendo l’arbitrato, hanno fatto affidamento su una procedura celere per risolvere le controversie.

A contrario, laddove il contratto risulti ben scritto, quanto meno con riguardo alla scelta tra arbitrato e giudizio statuale, la parte che si assume lesa nei suoi diritti avrà la possibilità di domandare la tutela mediante lo strumento effettivamente concordato.

Il caso che ci occupa prende le mosse da una vicenda che, per quanto qui interessa, può essere riassunta come segue. Una società e una fondazione ONLUS stipulavano un contratto di cessione d’azienda per un corrispettivo particolarmente rilevante, da versare ratealmente secondo i termini pattuiti. La società, tuttavia, versava alla fondazione cedente soltanto una quota del prezzo concordato, costringendo quest’ultima ad agire in sede monitoria per ottenere il pagamento del restante. La società cessionaria presentava tempestiva opposizione avverso il decreto ingiuntivo, eccependo in via preliminare l’incompetenza del Tribunale adito in virtù della clausola compromissoria contenuta nell’accordo inter partes. La fondazione ONLUS chiedeva il rigetto di tale eccezione invocando un’ulteriore previsione contrattuale che qualificava il Tribunale di Milano come foro competente.

Il problema è dunque il seguente: quid iuris in caso di una clausola compromissoria che, nell’ambito dello stesso contratto, concorre con una clausola attributiva della competenza al giudice statale? Per chiarezza, si riportano di seguito le previsioni tra loro concorrenti:

  1. art. XI del contratto: «qualsiasi controversia dovesse insorgere tra le parti in ordine alla validità, efficacia, interpretazione ed esecuzione del presente contratto e successivi patti e comunque ad esso connessa, verrà definita mediante arbitrato amministrato della Camera Arbitrale di Milano (…)»;
  2. art. XII del contratto: «il Foro competente è quello di Milano».

L’organo giudicante investito della controversia ha ritenuto prima facie fondata l’eccezione di arbitrato promossa dalla società. In sede di motivazione sono state ampiamente argomentate le ragioni della decisione che hanno portato alla declaratoria d’incompetenza del giudice statuale in favore dell’organo arbitrale munito – per converso – di potestas iudicandi in virtù della clausola compromissoria contenuta nel contratto di cessione.

Il giudice, in primo luogo, ha colto l’occasione per evidenziare l’analogia tra l’istituto dell’arbitrato e il giudizio statale, sottolineando l’intento del legislatore che, con il d.lgs.  40/2006, ha introdotto una serie di norme volte a conferire alla giustizia arbitrale una funzione del tutto sostitutiva rispetto alla giustizia statuale. Sul punto, il giudice ha altresì richiamato una nota sentenza della Corte Costituzionale che, nell’effettuare un raffronto tra processo statale e procedimento arbitrale, ha affermato la natura giurisdizionale dell’arbitrato (Corte Cost., 16 luglio 2013, n. 223). In tale occasione è stato infatti affermato che quest’ultimo costituisce, a tutti gli effetti, un procedimento disciplinato dal codice di procedura civile per l’applicazione del diritto ai fini della risoluzione delle controversie. Come nel processo statuale, si legge nella pronuncia, anche nell’arbitrato devono essere rispettate le garanzie del contraddittorio e dell’imparzialità tipiche della giurisdizione civile ordinaria. Inoltre, in un passaggio fondamentale della stessa sentenza, è stata evidenziata l’attribuzione «alla giustizia arbitrale di una funzione sostitutiva della giustizia pubblica». Da quest’ultimo assunto, e cioè dalla fungibilità dello strumento arbitrale con il processo ordinario, il giudice del Tribunale di Milano ha fissato le basi della sua motivazione.

In secondo luogo, il giudicante ha segnalato il superamento del principio di prevalenza della competenza del giudice ordinario richiamato dalla fondazione ONLUS per domandare il rigetto dell’eccezione d’arbitrato formulata dalla società. La convenuta opposta ha fatto menzione del principio della naturale prevalenza della giurisdizione statuale su quella arbitrale, affermato in passato dalla Corte di Cassazione (Cass. civ., 28 maggio 1979, n. 3099; Cass. civ. 23 agosto 1990, n. 8608). Tale principio, elaborato nel corso del secolo passato, prevedeva che nel nostro sistema processuale l’attività relativa alla tutela giurisdizionale fosse una funzione essenziale dello Stato. Questo comportava – nei casi d’incertezza – la prevalenza della competenza del giudice ordinario su quella degli arbitri. Tuttavia, in più riprese, si è assistito a un graduale superamento del suddetto principio in favore di un nuovo orientamento elaborato dai giudici di legittimità e puntualmente richiamato dal giudice del Tribunale di Milano (Cass. civ., 14 ottobre 2016, n. 20880). In particolare, la Corte di Cassazione è giunta a concludere che la giurisdizione arbitrale: (i) non è più un’eccezione o una deroga rispetto alla giurisdizione statale, (ii) è un rimedio fungibile e perfettamente alternativo al processo instaurato dinanzi ai giudici nazionali e (iii) consiste in una facoltà delle parti tutelata a livello costituzionale. Da questi importanti principi il giudice ha ricavato una conclusione di fondo che ha posto alla base della sua decisione: nel caso d’incertezza circa la volontà delle parti rispetto alla scelta tra arbitrato e processo ordinario, non deve determinarsi la necessaria attribuzione al giudice ordinario delle controversie oggetto della clausola compromissoria. Ciò che si rende necessario, e lo si apprende anche dalla motivazione della sentenza in commento, è ricercare in concreto la reale volontà delle parti. Questo è stato lo sforzo effettuato dal giudice nella sua decisione, attuato con la ricerca della reale intenzione delle parti nel testo delle clausole concorrenti.

Per fare ciò, il giudice si è avvalso dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. del codice civile. Il tenore della clausola compromissoria, data la sua ampiezza («qualsiasi controversia dovesse insorgere» dal contratto di cessione, o da «successivi patti e comunque ad esso connessa»), ha indotto a ritenere che la volontà delle parti fosse quella di devolvere in arbitrato tutte le controversie relative al contratto. Ma non solo. Le parti hanno altresì disciplinato in maniera dettagliata, come ha puntualizzato il giudice, le modalità di svolgimento della procedura arbitrale, le modalità di nomina del Tribunale arbitrale e il suo funzionamento, il luogo di svolgimento, le norme da seguire per la decisione e il tipo di efficacia destinata ad essere assunta dal lodo.

Inoltre, in forza dell’interpretazione complessiva delle clausole come prevista dall’art. 1363 cod. civ., il giudice ha ritenuto rilevante – al fine di determinare la competenza arbitrale – un’ulteriore previsione del contratto. In particolare, l’art. IX.3 prevedeva la facoltà delle parti di rimettere in arbitrato le liti nascenti dal mancato accordo, nel termine pattuito, circa l’indennizzo di cui al medesimo art. IX.3. Ergo, un ulteriore richiamo all’arbitrato operato dalle parti rispetto alle controversie connesse al contratto.

Sempre in sede di motivazione è stata svolta una precisazione in merito al principio di conservazione del contratto e delle sue clausole, come disciplinato dall’art. 1367 cod. civ. A fronte delle previsioni contrattuali richiamate (tutte favor arbitrati), il fatto di attribuire la competenza al Tribunale di Milano per le controversie relative al contratto finirebbe per privare di effetti, e di senso, la clausola compromissoria di cui all’art. XI. Ciò si tradurrebbe in un risultato del tutto incompatibile con la reale volontà delle parti risultante dall’interpretazione, letterale e non, delle clausole del contratto di cessione.

Il giudice ha altresì rilevato che l’ambito operativo della clausola di elezione del foro statale, in casi come questi, è del tutto residuale. La volontà delle parti, a seguito della ricostruzione effettuata, è risultata chiara e non ambigua: scelta dell’arbitrato per tutte le controversie relative al contratto (in cui rientra quella oggetto della sentenza in commento). Da ciò si ricava, quindi, un ambito di applicazione ristretto della clausola di elezione del foro statale, limitato alle questioni che per legge sono sottratte al giudizio degli arbitri, i.e. diritti non disponibili (art. 806 cod. proc. civ.) e misure cautelari (artt. 818 e 669 quinquies cod. proc. civ.). È in questo senso, secondo il giudice, che va interpretato il doppio binario di giurisdizione adottato dalle parti.

Può lasciare sorpresi, ma solo a un primo esame, il fatto che il giudice non abbia utilizzato per corroborare la sua decisione la previsione di cui all’art. 808 quater cod. proc. civ. Tale norma consente, in caso di dubbio, di interpretare estensivamente la clausola arbitrale così da estendere la sua portata a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la clausola si riferisce. Tuttavia, la giurisprudenza è stata puntuale nell’osservare che l’art. 808 quater cod. proc. civ., concernente il “favor” per la competenza arbitrale, riguarda i soli casi in cui il dubbio interpretativo verta sulla quantificazione della materia devoluta agli arbitri alla luce della clausola compromissoria (Cass. civ., 24 settembre 2018, n. 22490). Il dubbio, pertanto, deve essere riferito solo alla portata della clausola arbitrale. Diversamente, tale norma non si estende alla scelta tra arbitrato e giudizio statuale effettuata dalle parti, che va ricostruita soltanto alla luce della loro volontà, rispetto a cui non opera il “favor” dell’art. 808 quater cod. proc. civ. Sono queste, con tutta probabilità, le ragioni che hanno spinto il giudice a non richiamare la presente norma.

La pronuncia in commento ha osservato, anche in una situazione connotata da parziale ambiguità, il principio del favor arbitrati. Questa è una conclusione a cui si è giunti (i) rilevando l’ormai nota fungibilità tra arbitrato e processo statale e (ii) rispettando la reale volontà delle parti come espressa nelle clausole del contratto di cessione. Volontà delle parti che, nell’arbitrato, trova il suo più ampio riconoscimento. Tale assunto, come si è appreso dall’esame della motivazione, ha funzionato da guida per il giudice nell’utilizzo dei criteri ermeneutici previsti dal codice civile.

In altri casi i giudici, anche di legittimità, hanno disatteso il suddetto principio in favore della competenza del giudice statale (Cass. civ., 13 ottobre 2016, n. 20673). Questo, in forza di clausole concorrenti (arbitrale e di elezione del foro) formulate diversamente da quelle contenute nel contratto di cessione. Tuttavia, il criterio utilizzato per determinare l’organo realmente competente è stato sempre il medesimo: ricostruzione della volontà dei contraenti alla luce (i) del tenore letterale delle clausole, (ii) del loro significato come risultante dal senso complessivo del contratto e (iii) del comportamento delle parti al momento della conclusione dell’accordo e durante l’esecuzione dello stesso.

Luca Giusquiami:
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