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Il trattato bilaterale di investimento (BIT) tra Italia e Turchia

I trattati bilaterali di investimento (BIT) sono accordi internazionali che stabiliscono i termini, le condizioni e le tutele per gli investimenti privati da parte di individui ed entità di uno Stato contraente (lo Stato di origine) nell’altro Stato contraente (lo Stato ospitante).

La proliferazione dei BIT all’inizio del XX secolo ha trasformato il contesto degli investimenti internazionali, ed essi rappresentano un elemento cruciale della globalizzazione.

A quanto risulta, sono stati conclusi circa 3.000 BIT e più di 2.000 sono in vigore.

L’Italia è parte di 102 BIT (e di 77 trattati con disposizioni sugli investimenti, compresi i trattati dell’UE). La Turchia è parte di 132 BIT (e di 22 trattati con disposizioni sugli investimenti).

Il 22 marzo 1995, Italia e Turchia hanno firmato il loro BIT, entrato in vigore il 2 marzo 2004. Il testo in inglese è disponibile qui.

I dati disponibili indicano che gli investimenti italiani in Turchia ammontano a 3.374.000.000 di dollari, distribuiti in vari settori (alimentare, abbigliamento, chimico, forniture elettriche ed elettroniche, macchinari, mobili, siderurgia e industria automobilistica) (fonte qui). Gli investimenti turchi in Italia ammontano solo a 75.000.000 di dollari. D’altra parte, le imprese italiane investono in Turchia fin dagli anni Sessanta. Infatti, a settembre 2020, le imprese turche con partner italiani e le imprese italiane con una presenza in Turchia sono più di mille.

Sebbene, secondo il database dell’ICSID, sia stato promosso un solo procedimento in cui sono invocate le disposizioni del BIT italo-turco (Enel S.p.A. contro la Repubblica di Turchia, causa n. ARB/21/61, ancora in corso), la situazione sopra descritta rende possibile l’insorgere di altri procedimenti.

Questo è il motivo per cui è stato scritto questo breve commento: fornire agli investitori italiani in Turchia (e agli investitori turchi in Italia) una descrizione concisa dei loro diritti e delle tutele previste dal suddetto BIT.

A tal fine, è stata principalmente utilizzata la metodologia del Progetto di Mappatura IIA dell’UNCTAD.

Come detto, il BIT italo-turco è stato firmato nel 1995, quasi trent’anni fa. Pertanto, il suo preambolo non fa riferimento allo sviluppo sostenibile o agli aspetti sociali o ambientali.

Inoltre, il preambolo del BIT non menziona le prerogative normative dello Stato ospitante, come il “diritto di regolamentare”, l'”autonomia normativa”, il “policy space”, il “diritto di introdurre nuove norme”, la “flessibilità per salvaguardare il benessere pubblico”, e simili espressioni che talvolta vengono impiegate.

L’articolo 1 contiene la definizione di “investimento”. Gli Stati contraenti hanno concordato una definizione basata sulle attività, accompagnata da un elenco aperto. Si tratta della definizione più ampia (a differenza di quella basata sull’impresa), che teoricamente include, in alcuni casi, anche gli ordinari rapporti commerciali. Si parla infatti di “credito per somme di denaro e pagamento di interessi derivanti da contratti di prestito o di qualsiasi diritto per obbligazioni, prestazioni o servizi aventi valore economico connessi a un investimento”, nonché di “qualsiasi diritto di natura finanziaria maturato per legge o per contratto”.

L’unica limitazione riguarda il fatto che gli investimenti protetti devono essere effettuati “in conformità con le leggi e i regolamenti” dello Stato ospitante.

Vale la pena notare che la protezione del BIT si applica a qualsiasi investimento effettuato dopo o anche prima dell’entrata in vigore del BIT.

L’articolo 1 definisce inoltre l'”investitore”: una persona fisica o giuridica che ha effettuato o intende effettuare un investimento. La definizione di “investitore” non include i residenti permanenti dello Stato di origine. D’altra parte, non esclude i doppi cittadini: un punto rilevante, considerando la legge sulla cittadinanza per investimento promulgata in Turchia.

Per quanto riguarda le persone giuridiche, il BIT non prevede ulteriori requisiti (come lo svolgimento di un’attività economica sostanziale nello Stato d’origine o con riferimento agli assetti proprietari).

Inoltre, il BIT non include una clausola di denial of benefit, ossia una disposizione che consenta allo Stato ospitante di negare la protezione del trattato a un investimento altrimenti coperto (ad esempio, nel caso in cui il beneficiario effettivo dell’investitore sia cittadino di uno Stato contro il quale lo Stato ospitante ha emanato restrizioni economiche e/o commerciali). Un altro punto di grande interesse, ad esempio, alla luce delle sanzioni emanate dall’UE (ma non dalla Turchia) contro specifici individui ed entità russe in seguito all’annessione russa della Crimea e alla recente invasione dell’Ucraina.

La protezione del trattato non esclude le questioni fiscali, le sovvenzioni e i sussidi, gli appalti pubblici o altre questioni (come gli investimenti in attività culturali, i servizi forniti nell’esercizio dell’autorità governativa, ecc.).

L’articolo 2, co. 2, afferma il principio secondo cui “Entrambe le Parti contraenti assicurano in ogni momento un trattamento giusto ed equo degli investimenti degli investitori dell’altra Parte contraente”. Questa clausola (talvolta definita “clausola FET”) non qualifica l’obbligo dello Stato ospitante facendo riferimento al diritto internazionale né includendo un elenco esemplificativo o esaustivo di elementi più specifici (ad esempio, diniego di giustizia e flagranti violazioni del giusto processo; trattamento manifestamente arbitrario; evidente discriminazione; trattamento manifestamente abusivo che comporti coercizione o molestie continue e ingiustificate; violazione delle legittime aspettative).

D’altra parte, il BIT vieta espressamente le misure ingiustificate o discriminatorie. Tuttavia, non prevede un obbligo specifico di accordare piena protezione e sicurezza agli investitori e agli investimenti.

L’articolo 2, co. 3, facilita l’ingresso e il soggiorno dei cittadini dello Stato di origine nel territorio dello Stato ospitante per scopi connessi a un investimento coperto.

L’articolo 2, co. 4, prevede l’obbligo per lo Stato ospitante di rendere pubbliche tutte le leggi, i regolamenti, le pratiche amministrative e le procedure relative agli investimenti.

L’articolo 3 stabilisce il principio del trattamento nazionale e contiene la clausola della nazione più favorita. Lo Stato ospitante deve concedere agli investitori stranieri un trattamento non peggiore di quello riservato ai propri cittadini (o ai cittadini di una terza parte, se più favorevole). Vale la pena notare che quanto sopra si applica solo alla fase successiva alla costituzione dell’investimento, mentre non si applica agli accordi di integrazione economica. In altre parole, ad esempio, gli investitori turchi ai sensi del BIT non godono del trattamento dei cittadini dell’UE in Italia, in quanto tale trattamento è delineato nei trattati dell’UE (ossia negli accordi di integrazione economica).

L’articolo 4 riguarda la protezione da conflitti (guerra o altre forme di conflitto armato, stato di emergenza, rivolta, insurrezione, sommossa o altri eventi simili) sulla base del trattamento nazionale / nazione più favorita. D’altra parte, non è previsto il diritto assoluto al risarcimento (tale diritto è solitamente concesso in situazioni in cui le perdite sono state causate dalle forze o dalle autorità dello Stato ospitante).

L’articolo 5 stabilisce la protezione dall’esproprio. L’articolo copre anche l’espropriazione indiretta, sebbene non ne fornisca una definizione. Nessun caso (come ad esempio in ipotesi di misure di carattere generale) è escluso dalla nozione di espropriazione.

L’articolo 6 prevede il libero trasferimento dei fondi relativi all’investimento, solo a condizione che vengano rispettati gli obblighi fiscali. Il BIT non prevede eccezioni specifiche (come quelle talvolta stabilite per proteggere i creditori in caso di insolvenza).

L’articolo 7 contiene la clausola di surrogazione, in base alla quale se lo Stato di origine copre le perdite subite da un investitore nello Stato ospitante, si surroga nel diritto dell’investitore e può esercitarlo nella stessa misura dell’investitore.

I meccanismi di risoluzione delle controversie sono disciplinati dagli articoli 8 e 9. Mentre l’articolo 9 riguarda le controversie tra gli Stati contraenti, l’articolo 8 si riferisce alle controversie tra gli investitori e lo Stato ospitante. Riguarda qualsiasi controversia relativa all’investimento, prevede i possibili fori (tribunali nazionali dello Stato ospitante, ICSID, UNCITRAL ed eventuali altri fori concordati) e contiene il consenso dello Stato ospitante all’arbitrato ICSID.

L’articolo 10 prevede la clausola di inderogabilità: se un altro trattato internazionale, di cui gli Stati contraenti sono parti, o la legislazione nazionale dello Stato ospitante, prevede un trattamento più favorevole per gli investitori/investimenti, tale altro trattato (o legislazione nazionale) prevarrà nella parte pertinente sulle disposizioni del BIT.

L’articolo 11 riguarda l’entrata in vigore del BIT, avvenuta, come detto, il 2 marzo 2004.

Per quanto riguarda la sua durata, ai sensi dell’articolo 12 il BIT rimane in vigore per dieci anni ed è tacitamente rinnovato per cinque anni. Attualmente si trova nel secondo periodo di rinnovo che scade il 1° marzo 2024. Ciascuno Stato contraente può impedire il rinnovo dandone comunicazione scritta un anno prima della data di scadenza (cioè entro il 1° marzo 2023). In caso di mancato rinnovo, in forza di una c.d. sunset clause, agli investitori viene garantita la protezione del BIT per i cinque anni successivi alla scadenza del BIT con riferimento agli investimenti effettuati prima di tale scadenza.

Roberto Oliva:
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