Roberto Oliva

Una recente pronunzia della Corte di Cassazione (n. 1788 del 28 gennaio 2021, disponibile qui) consente di svolgere alcune riflessioni con riferimento al concetto di ordine pubblico e alla sua rilevanza in materia arbitrale.

Per antica definizione, l’ordine pubblico esprime l’insieme dei principi di struttura politica ed economica di una data società, immanenti all’ordinamento giuridico e irrinunciabili ai fini della sua stessa esistenza.

Si tratta – è evidente – di una descrizione aperta, quando non addirittura vaga, che lascia all’interprete notevole libertà nell’individuare quali principi rientrino e quali no nel concetto di ordine pubblico.

Non è quindi un caso se un Giudice inglese, ormai quasi due secoli fa, abbia utilizzato per definire l’ordine pubblico una vivida metafora: quella di un cavallo pazzo, saliti sul quale non è dato di prevedere dove si verrà condotti (Court of Common Pleas, 2 luglio 1824, Richardson v. Mellish, 130 E.R. 294).

L’ordine pubblico rappresenta da un lato un limite all’autonomia privata (il contratto contrario all’ordine pubblico è nullo: art. 1343 cod. civ.); dall’altro lato e in parallelo, un ostacolo, di varia intensità, frapposto alla circolazione o alla stabilità di decisioni provenienti da soggetti che si pongono al di fuori dell’organizzazione giurisdizionale statuale. Ed è in questo secondo senso che assume rilevanza con riferimento all’arbitrato.

Così, la lamentata violazione dell’ordine pubblico rappresenta un motivo di impugnazione del lodo domestico; e un motivo di particolare rilevanza, posto che ad esso le parti non possono previamente rinunziare. L’ordine pubblico rappresenta quindi un limite alla stabilità delle decisioni arbitrali domestiche.

Non solo. L’ordine pubblico rappresenta pure un motivo ostativo al riconoscimento di un lodo straniero (art. 840, co. 5, n. 1) cod. proc. civ.; art. V, co. 2, lett. b) Conv. New York). E ancora una volta un motivo cui viene attribuita particolare rilevanza, posto che la sua sussistenza può essere rilevata d’ufficio dall’Autorità giudiziaria cui viene richiesto il riconoscimento. L’ordine pubblico rappresenta quindi un limite alla circolazione delle decisioni arbitrali straniere.

La dottrina internazionalistica e processualista hanno poi distinto tra un ordine pubblico c.d. interno, che avrebbe rilevanza nei rapporti completamente interni a un ordinamento, e un ordine pubblico c.d. internazionale, rilevante con riferimento a fattispecie che invece presentano elementi di estraneità. Non è poi mancato chi ha ipotizzato l’esistenza di un ordine pubblico c.d. transnazionale.

Questi concetti, la cui utilità è forse più descrittiva che non dogmatica, possono essere immaginati come tre insiemi concentrici. L’insieme più ampio è quello dell’ordine pubblico c.d. interno, che contiene sia principi fondamentali che principi più propriamente tecnici (quale ad esempio quello di tipicità dei diritti reali). L’insieme dell’ordine pubblico c.d. internazionale è più ristretto e contiene solo i principi fondamentali la cui applicazione è essenziale per l’integrità dell’ordinamento. Infine, l’insieme dell’ordine pubblico c.d. transnazionale è quello più ristretto e contiene, a seconda delle preferenze degli interpreti, i principi della lex mercatoria o quei principi di jus cogens rispettati da tutti gli ordinamenti che si riconoscono nella medesima prospettiva di civiltà.

Va ora soggiunto che, nel corso dei decenni, il nostro ordinamento, così come molti altri, ha sensibilmente attenuato la funzione di filtro rappresentata dalla clausola di ordine pubblico, che da valvola di sicurezza del sistema per impedire l’ingresso di valori giuridici estranei si è evoluta in estrema difesa nei confronti di concreti effetti giuridici radicalmente inaccettabili per l’ordinamento.

In tale alveo si colloca la pronunzia della Cassazione in commento, la quale ha dichiarato inammissibile l’impugnazione di un lodo arbitrale che mirava ad ottenere una non consentita rivalutazione del fatto deciso dagli arbitri, invocando l’applicazione del principio dell’ordine pubblico sostanziale, che si assumeva violato dalle rationes decidendi adottate nel lodo arbitrale, in mancanza di dimostrazione che i principi di diritto sostanziale che si affermavano violati integrassero il detto ordine pubblico sostanziale, che deve essere inteso come quella parte dell’ordinamento giuridico che ha per contenuti i principi fondamentali la cui osservazione e attuazione sono indispensabili all’esistenza dell’ordinamento e al conseguimento dei suoi fini essenziali.

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