Roberto Oliva

Uno dei settori in cui tuttora sussiste, a livello di politica legislativa, un certo disfavore per l’arbitrato è quello fallimentare.  Da un lato, la vis attractiva concorsus di cui all’art. 24, co. 1, l.fall. (“Il tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore“) e dall’altro lato il disposto dell’art 83/bis l.fall. (“Se il contratto in cui è contenuta una clausola compromissoria è sciolto a norma delle disposizioni della presente sezione, il procedimento arbitrale pendente non può essere proseguito“) congiurano nel ridurre significativamente l’ambito delle controversie arbitrabili in cui sia parte un imprenditore soggetto a procedura concorsuale.  E ciò fanno anche con buona pace del principio dell’autonomia della clausola compromissoria, come emerge chiaramente dalla relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo recante la riforma organica della legge fallimentare: “(…) È previsto in particolare che il procedimento arbitrale già pendente non possa essere proseguito allorquando il contratto contenente la clausola arbitrale viene sciolto a norma delle disposizioni della presente sezione IV. Ciò al fine di evitare che il giudizio arbitrale sopravviva al regolamento di interessi convenzionali travolto dal fallimento e che era destinato a risolvere“.

Sul rapporto tra arbitrato (nella fattispecie concreta, arbitrato estero) e fallimento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono recentemente soffermate, nell’ordinanza n. 10800 del 26 maggio 2015. Qui il testo completo dell’ordinanza.

Questa, in estrema sintesi, la vicenda.  Nel 2007, una società di trasporto aereo e una società di gestione aeroportuale concludono un contratto di servizi, che contiene una clausola compromissoria, ai sensi della quale le controversie che dovessero insorgere tra le parti vengono deferite a un arbitrato amministrato dalla London Court of International Arbitration (LCIA).

Scaduto il rapporto contrattuale, la società di gestione aeroportuale (nel frattempo ammessa alla procedura di concordato preventivo) ha chiesto e ottenuto da un Tribunale italiano una ingiunzione europea di pagamento, contro la quale è insorta la società di trasporto aereo, rilevando innanzi tutto la carenza di giurisdizione del giudice italiano, giacché le parti avevamo pattuito un arbitrato estero.  Durante il giudizio di opposizione, interviene il fallimento della società di gestione aeroportuale; il procedimento viene quindi riassunto e infine la società di trasporto aereo ricorre alla Suprema Corte, perché venga definita la questione di giurisdizione.

La pronuncia delle Sezioni Unite è interessante sotto molteplici profili.

Innanzi tutto, a fronte dell’eccezione del fallimento controricorrente, secondo il quale la clausola compromissoria oggetto di controversia prevederebbe un arbitrato irrituale e quindi sarebbe inidonea a configurare una questione di giurisdizione (con conseguente inammissibilità del ricorso), la Cassazione ha rilevato – dando seguito al suo orientamento – che “l’arbitrato internazionale non può essere che rituale“, poiché “la distinzione tra arbitrato rituale e irrituale, ben conosciuta dal nostro diritto vivente [oltre che dal codice di procedura civile, n.d.s.], è invece poco praticata in ambito internazionale“.

Superata questa questione pregiudiziale, la Corte di Cassazione ha poi offerto una lettura restrittiva dell’art. 83/bis l.fall.: “(…) non si può trarre alcuna conseguenza interpretativa di carattere sistematico – nel senso, cioè, dell’improcedibilità del procedimento arbitrale – dal disposto dell’art. 83/bis l.fall. essendo, invece, legittimo il ragionamento contrario. Invero sebbene la norma cit. (…) affermi la natura accessoria della clausola compromissoria con riferimento alla sola ipotesi presa in considerazione dalla stessa (e, cioè, quella di un giudizio arbitrale pendente e di scioglimento del contratto su iniziativa del curatore ai sensi dell’art. 72 l.fall.), sulla scorta della medesima previsione si deve pervenire alla conclusione, secondo la quale, nell’ipotesi di subentro da parte del curatore nelle situazione giuridiche attive derivanti dal contratto contenente la clausola compromissoria, questa conservi piena efficacia anche nei confronti del curatore: diversamente opinando, infatti, si consentirebbe al curatore di sciogliersi da singole clausole del contratto di cui pure chiede l’adempimento“.  Le Sezioni Unite aggiungono, poi, che “non rileva che, nello specifico, il contratto fosse scaduto e non rinnovato al momento della proposizione del ricorso per ingiunzione, dal momento che l’applicabilità della clausola arbitrale risponde all’esigenza di regolare le situazioni già insorte da quel contratto secondo la procedura ivi stabilita“.

Un particolare profilo di interesse deriva, infine, dalla circostanza che la società di trasporto aereo ha formulato, nei confronti della società insolvente, una domanda riconvenzionale.  Tale domanda, nella prospettiva del fallimento controricorrente, non potrebbe essere conosciuta dagli arbitri (in effetti, secondo Cass., SS.UU., 6 giugno 2003, n. 9070, “l’effetto attributivo della cognizione agli arbitri, che è proprio della clausola compromissoria, è in ogni caso (…) paralizzato dal prevalente effetto, prodotto dal fallimento, dell’avocazione dei giudizi aventi ad oggetto l’accertamento di un credito verso l’impresa sottoposta alla procedura concorsuale allo speciale procedimento di verificazione dello stato passivo, inderogabilmente demandato all’ufficio fallimentare“).  Nella pronunzia in commento della Suprema Corte si intravede invece un (sia pur parziale) indebolimento della vis attractiva concursus, accompagnato dalla riaffermazione, anche in questa materia, del principio Kompetenz-Kompetenz: “(…) è estranea al presente regolamento la questione dell’azionabilità o meno in via riconvenzionale nella procedura arbitrale (…) del controcredito opposto in compensazione al Fallimento; invero, una volta esclusa la giurisdizione del giudice italiano, per effetto della deroga in favore di arbitrato straniero, sulla controversia avente ad oggetto il credito fatto valere dal Fallimento, le regole che tali arbitri dovranno adottare nella decisione esulano dalla questione di giurisdizione ormai conclusa con declaratoria dell’insussistenza della stessa da parte del giudice italiano, rientrando invece esclusivamente nella giurisdizione degli arbitri stranieri“.

Forse potremo leggere nuovamente di questa vicenda, quando verrà chiesto il riconoscimento del lodo LCIA in Italia.

La massima della pronuncia in commento redatta dall’Ufficio del massimario non brilla purtroppo per chiarezza, anche perché si focalizza su un passaggio dell’ordinanza delle Sezioni Unite, che però in realtà non ne rappresenta la ratio decidendi.  In ogni caso, tale massima è la seguente: “Nel caso di convenzione contenente una clausola compromissoria stipulata prima della dichiarazione di fallimento di una delle parti (nella specie, una clausola di arbitrato internazionale), il mandato conferito agli arbitri non è soggetto alla sanzione dello scioglimento prevista dall’art. 78 legge fall., configurandosi come atto negoziale riconducibile all’istituto del mandato collettivo e di quello conferito anche nell’interesse di terzi. Tale interpretazione trova indiretta conferma nel disposto dell’art. 83 bis legge fall., atteso che, se il procedimento arbitrale pendente non può essere proseguito nel caso di scioglimento del contratto contenente la clausola compromissoria, deve, di contro, ritenersi che detta clausola conservi la sua efficacia ove il curatore subentri nel rapporto, non essendo consentito a quest’ultimo recedere da singole clausole del contratto di cui chiede l’adempimento” (Cass., Sezioni Unite, ordinanza n. 10800 del 26 maggio 2015, massima Rv. 635360).

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