Roberto Oliva

Una recentissima pronunzia della Corte di Cassazione (Cass., Sez. III Civ., 9 novembre 2017, n. 26525, disponibile qui) concerne il tema, tanto interessante quanto delicato, della responsabilità degli arbitri nei confronti delle parti del procedimento arbitrale.

Questa la vicenda decisa dalla Suprema Corte.

Nel novembre 1997 un Tribunale arbitrale composto di tre ingegneri ha depositato il lodo che ha definito il giudizio arbitrale pendente tra due società.

Il lodo, però, è stato dichiarato nullo poiché gli arbitri non avevano indicato la data della sua sottoscrizione (che costituisce requisito di forma-contenuto del lodo, sia ai sensi del vigente art. 823, co. 2, n. 8) cod. proc. civ., sia ai sensi dell’art. 823, co. 2, n. 6) cod. proc. civ. nel testo precedente la riforma del 2006 applicabile ratione temporis, e la cui mancata indicazione comportava la nullità del lodo ai sensi del previgente – e applicabile alla vicenda – art. 829, co. 1, n. 5) cod. proc. civ.).

La parte risultata vittoriosa in arbitrato ha quindi convenuto in giudizio, nel febbraio 2010, i componenti del Tribunale arbitrale, chiedendo che venissero condannati a risarcirle il danno asseritamente sofferto.

Il Giudice di primo grado ha respinto la domanda: con riferimento a due convenuti, rilevando che il diritto al risarcimento si era prescritto; avuto riguardo invece al terzo arbitro, nei cui confronti era stato compiuto un atto interruttivo della prescrizione, non ravvisando il nesso causale tra preteso inadempimento e asseriti danni.  Questo perché, a dire del primo Giudice, la clausola compromissoria era invalida (anche se non pare, dalla lettura della pronunzia della Cassazione, che il lodo sia stato dichiarato nullo per questo concorrente motivo, anche atteso che l’invalidità della clausola non risulta essere mai stata lamentata nel corso del procedimento arbitrale).

La sentenza di primo grado è stata appellata e la Corte di Appello ha condannato l’arbitro nei cui confronti era stato compiuto un atto interruttivo della prescrizione alla restituzione del compenso ricevuto e degli altri importi pagati dalla società attrice nel corso del procedimento arbitrale, ritenendo da un lato che l’incarico di arbitro non fosse stato eseguito con la diligenza dovuta ai sensi dell’art. 1176 cod. civ. e dall’altro lato che non vi fosse prova dei danni ulteriori lamentati dalla società attrice.  Quanto invece alla posizione degli altri arbitri, la Corte di Appello ha confermato il rigetto della domanda della parte attrice, in ragione della prescrizione del suo diritto, osservando in particolare che non sussisteva una responsabilità solidale tra i tre arbitri (e quindi che l’atto interruttivo compiuto nei confronti di uno non avesse effetti nei confronti degli altri) “posto che i tre professionisti erano stati citati in giudizio con differenti domande di condanna“.

Anche la pronunzia di appello è stata impugnata.  Escludendo i pur significativi profili relativi alla successione delle leggi nel tempo in relazione alla responsabilità degli arbitri (ora legislativamente equiparata alla responsabilità civile dei magistrati ex art. 813/ter, co. 2, cod. proc. civ.), sono in particolare due i passaggi di interesse della pronunzia della Suprema Corte che ha deciso questa impugnazione.

Innanzi tutto, la Cassazione ha – correttamente – rilevato che la responsabilità risarcitoria degli arbitri (ora disciplinata dal menzionato art. 813/ter cod. proc. civ.) è una responsabilità solidale: se è “in discussione l’obbligazione risarcitoria dei danni derivanti dal non corretto adempimento del compito arbitrale, la solidarietà [è] indubbiamente configurabile, perché l’obbligazione risarcitoria è solidale“.

La Suprema Corte ha inoltre rilevato che la mancata indicazione della data di sottoscrizione del lodo integra una ipotesi di colpa grave: “la colpa dell’arbitro consistente, come nella specie, nella mancata apposizione della data della sottoscrizione in calce al lodo arbitrale non può essere definita come lieve, ma è invece una colpa grave“.

Conclusioni diverse potrebbero essere tratte in riferimento alla mancata indicazione della data di sottoscrizione di un lodo reso ai sensi della vigente disciplina, poiché tale omissione non rappresenta più motivo di nullità del lodo.  Nondimeno, la suddetta omissione appare comunque meritevole di un severo giudizio (e quindi di un addebito di colpa grave) poiché, a prescindere dalla comminatoria di nullità, ha conseguenze di non lieve portata.  La data invero è un elemento essenziale del lodo: è dalla data dell’ultima sottoscrizione che produce i suoi effetti (art. 824/bis cod. proc. civ.); sempre dalla data dell’ultima sottoscrizione decorre il termine lungo per l’impugnazione (art. 828, co. 2, cod. proc. civ.) e, se il lodo non reca indicazione della data dell’ultima sottoscrizione, non è possibile verificare se sia realizzato il motivo di nullità di cui all’art. 829, co. 1, n. 8) cod. proc. civ. (“se il lodo è contrario ad altro precedente lodo non più impugnabile o a precedente sentenza passata in giudicato tra le parti (…)“).

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