Roberto Oliva

La Corte di Cassazione, in una sua recente pronunzia (Cass., Sez. I Civ., 11 febbraio 2016, n. 2759, disponibile qui) ha affrontato il tema dell’arbitrabilità delle controversie tra una società e un suo amministratore, aventi ad oggetto il diritto di quest’ultimo di percepire l’emolumento connesso alla carica.

Questa, in sintesi, la vicenda.

L’ex amministratore di una società per azioni ha richiesto e ottenuto, nel giugno 2008, un decreto ingiuntivo per gli importi a suo dire dovuti a titolo di compenso per la sua attività.

Il decreto è stato pronunciato dal giudice del lavoro.

La società ha proposto opposizione a questo decreto, nelle forme del rito societario allora vigente: ha eccepito la competenza arbitrale, in ragione della presenza nel suo statuto di una clausola compromissoria; nel merito, ha pure eccepito l’insussistenza del diritto al compenso vantato dal suo ex amministratore.

Quest’ultimo si è costituito in giudizio eccependo, a sua volta, la tardività dell’opposizione a decreto ingiuntivo (che a suo dire avrebbe dovuto essere proposta con le forme del rito del lavoro), rilevando l’inapplicabilità della clausola compromissoria statutaria, poiché la controversia rientra tra quelle di cui all’art. 409 cod. proc. civ. (e l’art. 806, co. 2, cod. proc. civ. prevede che “Le controversie di cui all’art. 409 possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro“), e contestando infine nel merito le deduzioni della società.

Il giudice statale, sia in primo grado che in appello, ha accolto l’exceptio compromissi sollevata dalla società.

La Corte di Cassazione ha infine confermato la correttezza delle decisioni dei giudici di merito.

La Suprema Corte, in primo luogo, ha osservato che le controversie tra amministratori e società sono tutte attribuite alle competenza delle sezioni specializzate in materia d’impresa: “nella previsione dell’art. 3 lett. a) del d.lgs. n. 168/2003, secondo cui sono di competenza del tribunale delle imprese i procedimenti relativi a rapporti societari, devono essere ricomprese tutte le controversie che vedano coinvolti la società e i suoi amministratori senza poter distinguere tra le controversie che riguardino l’agire degli amministratori nell’espletamento del rapporto organico e i diritti che, sulla base dell’eventuale contratto che la società e l’amministratore abbiano stipulato, siano stati riconosciuto a titolo di compenso“.

Dopo aver richiamato la sua giurisprudenza, che esclude la natura subordinata (o para-subordinata) del rapporto tra società e amministratore (Cass., Sez. Lavoro, 26 febbraio 2002, n. 2861; Cass., Sez. Lavoro, 5 settembre 2003, n. 13009; Cass., Sez. I Civ., 12 settembre 2008, n. 23557; Cass., Sez. I Civ., 1 aprile 2009, n. 7961; Cass., Sez. I Civ., 13 novembre 2012, n. 19714; Cass., Sez. I Civ., 17 ottobre 2014, n. 22046), la Cassazione giunge alla conclusione che si deve “ritenere ormai superata (…) l’operatività delle limitazioni alla compromettibilità in arbitri delle controversie relative ai rapporti fra amministratori e società anche se attinenti al compenso dell’amministratore per l’attiva gestoria svolta“.

Secondo la Cassazione, poi, non è più possibile affermare – come avevano fatto in passato le Sezioni Unite (Cass., SS.UU., 14 dicembre 1994, n. 10680) – che le controversie relative al compenso degli amministratori siano soggette al rito del lavoro ai sensi dell’art. 409, n. 3, cod. proc. civ. (“Si osservano le disposizioni del presente capo nelle controversie relative a: (…) 3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinata“). Questa conclusione, infatti, sarebbe ora impedita proprio dall’attribuzione alle sezioni specializzate in materia di impresa di tutte le controversie tra amministratori e società.

Dall’altro lato, comunque, l’art. 34, co. 4, del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 dispone espressamente che “Gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori (…) ovvero nei loro confronti (…)“.  Pertanto, pure ove si volesse ancora ritenere che si applichi il rito del lavoro alle controversie tra società e amministratori relative al compenso di questi ultimi, nondimeno esse sarebbero arbitrabili.  L’art. 806, co. 2, cod. proc. civ. dispone infatti che le controversie soggette al rito del lavoro “possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro“; e una previsione di legge, come appena visto, esiste.

 

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