Arbitrato societario: no al doppio binario

Roberto Oliva

La Corte di Cassazione, con la sentenza della Sez. I Civ., n. 22008 del 28 ottobre 2015 (disponibile qui), ha confermato il suo orientamento contrario al c.d. doppio binario nell’arbitrato societario, ribadendo che l’unica clausola compromissoria che può essere validamente inserita in uno statuto è quella di cui all’art. 34 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5.

All’indomani della riforma (anche processuale) del diritto societario di cui ai decreti legislativi n. 5 e n. 6 del 2003, si era formato un orientamento di parte della dottrina e della giurisprudenza di merito ad avviso del quale sarebbero state possibili due distinte tipologie di arbitrario societario: l’arbitrato societario previsto dall’art. 34 d.lgs. 5/2003 (ai sensi del cui co. 2, “La clausola compromissoria deve prevedere il numero e le modalità degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società (…)“); e l’arbitrato di diritto comune, fondato su una clausola compromissoria ex art. 808 cod. proc. civ., che avrebbe potuto continuare a essere inserita in statuto.

Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, invece, l’unica clausola compromissoria che può essere validamente inserita in uno statuto è quella disciplinata dall’art. 34 del d.lgs. 5/2003.  La stessa Suprema Corte, nella pronunzia della Sez. VI Civ., n. 21202 del 2011 (disponibile qui), ha inoltre rilevato che “Sussiste la responsabilità disciplinare del notaio, a norma dell’art. 28, comma primo, n. 1, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, per aver redatto un atto espressamente proibito dalla legge, allorché sia stato rogato, a decorrere dal 1° settembre 2011, un atto costitutivo di società, con previsione di clausola compromissoria di arbitrato di diritto comune e, quindi, difforme dal disposto dell’art. 34 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, poiché solo da tale data può ritenersi pacifica l’interpretazione della norma come comportante la nullità di siffatta clausola“.

La sentenza in commento ribadisce quindi l’ormai pacifico insegnamento della Cassazione, ad avviso del quale “la norma dell’art. 34 del d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 5, contempla l’unica ipotesi di clausola compromissoria che possa essere introdotta negli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325bis c.c., restando escluso il ricorso in via alternativa od aggiuntiva alla clausola compromissoria di diritto comune prevista dall’art. 808 c.p.c. (…) Sicché la clausola compromissoria contenuta nello statuto societario, la quale, non adeguandosi alla prescrizione dell’art. 34 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, non preveda che la nomina degli arbitri debba essere effettuata da un soggetto estraneo alla società, è nulla anche ove si tratti di arbitrato irrituale (…) con la conseguenza che la clausola non produce effetti e la controversia può essere introdotta solo davanti al giudice ordinario“.

Un ultimo profilo di interesse della pronunzia in commento concerne l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile a fronte del provvedimento del giudice statale che accolga l’exceptio compromissi.

Nella vicenda che ha dato origine alla decisione della Suprema Corte, invero, era stato proposto appello avverso il provvedimento del giudice di primo grado che aveva ritenuto sussistente la competenza arbitrale.  L’appello, però, sarebbe stato inammissibile (con conseguente formazione del giudicato), alla luce del più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, ad avviso del quale “è inammissibile l’appello avverso la decisione del tribunale declinatoria della propria competenza a favore degli arbitri rituali, poiché l’attività di questi ultimi ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché la relativa questione può essere fatta valere solo con regolamento di competenza” (Cass., Sez. I Civ., 13 agosto 2014, n. 17908, disponibile qui).

Sulla questione si è registrato un radicale mutamento dell’orientamento della Suprema Corte, che in precedenza riteneva che lo stabilire se una controversia appartenga alla  cognizione del giudice statale o degli arbitri costituisse una questione di merito e non di competenza in senso tecnico (in tal senso, ad esempio, Cass., SS.UU., 25 giugno 2002, n. 9289, disponibile qui), con la conseguenza che il mezzo di gravame corretto sarebbe stato proprio l’appello.

Per questo motivo, la Cassazione ha escluso – nel caso di specie – che si fosse realizzata alcuna preclusione o decadenza a carico della parte che sosteneva (come visto, fondatamente) la nullità della clausola compromissoria.

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