Roberto Oliva

La Corte di Cassazione, con la sentenza della Sez. I Civ. n. 22007 del 28 ottobre 2015 (disponibile qui) è tornata sul tema della disciplina dell’impugnazione per nullità di lodi pronunziati in procedimenti retti da clausole compromissorie concluse prima della riforma dell’arbitrato contenuta nel d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.

Prima della riforma, ai sensi del previgente art. 829, co. 2, cod. proc. civ., “L’impugnazione per nullità [era] (…) ammessa se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto, salvo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equità, o avessero dichiarato il lodo non impugnabile“.  Con la riforma, si è invece scelta una interpretazione diametralmente opposta del silenzio delle parti sul punto. Infatti, ai sensi del vigente art. 829, co. 3, cod. proc. civ., “L’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge. (…)“.

L’intento perseguito dal legislatore della riforma è chiaro, ed è quello di conferire maggior stabilità ai lodi arbitrali, limitando il novero di quelli impugnabili per violazione delle regole di diritto applicabili al merito.  E per far ciò ha sfruttato la naturale tendenza a lasciare invariato lo status quo, ben indagata in sede di analisi economica del diritto (ad esempio in questo articolo o in quest’altro). 

Sennonché, la disciplina transitoria contenuta nell’art. 27 del d.lgs. 40/2006 pare imporre l’applicazione della nuova norma, che di regola esclude l’impugnazione per violazioni di diritto nel merito, anche ai lodi pronunciati in procedimenti arbitrali che traggono la loro origine in clausole compromissorie stipulate nel vigore della vecchia disciplina, ossia quando al silenzio dei paciscenti veniva attributo un significato diametralmente opposto.

Una simile opzione – che pur potrebbe essere giustificata alla luce del principio processuale del tempus regit actum – nel contempo comporterebbe però una modifica della clausola compromissoria e quindi, in definitiva, si risolverebbe in una applicazione retroattiva della nuova disciplina dell’impugnazione per nullità.

Nella giurisprudenza della Suprema Corte si sta quindi consolidando una lettura costituzionalmente orientata della normativa transitoria sopra menzionata; lettura da ultimo confermata dalla sentenza in commento.

Ritiene infatti la Cassazione che “Le modifiche apportate all’art. 829 c.p.c. dalla legge di riforma di cui al d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 sono volte a delimitare l’ambito d’impugnazione del lodo arbitrale, laddove le convenzioni concluse prima della sua entrata in vigore continuano ad essere regolate dalla legge previgente, che disponeva l’impugnabilità del lodo per violazione della legge sostanziale, a meno che le parti non avessero stabilito diversamente; ne consegue che, in difetto di una disposizione che ne sancisca la nullità o che obblighi le parti ad adeguarle al nuovo modello, la salvezza di tali convenzioni deve ritenersi insita nel sistema, pur in difetto di un’esplicita previsione della norma transitoria“.

La pronuncia in commento richiama, quali precedenti conformi, Cass., Sez. I Civ., 19 aprile 2012, n. 6148 (disponibile qui); Cass., Sez. I Civ., 3 giugno 2014, n. 12379 (disponibile qui); Cass., Sez. I Civ., 18 giugno 2014, n. 13898 (disponibile qui) e Cass., 19 gennaio 2015, n. 745 (che non ho però reperito).  Dà inoltre atto dell’esistenza anche di un precedente di segno contrario, ossia Cass., Sez. VI Civ., 17 settembre 2013, n. 21205 (disponibile qui).

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