Roberto Oliva

Capita alle volte, quando si inserisce in un contratto una clausola compromissoria, che una delle parti voglia riservarsi la possibilità di agire in via monitoria, nella speranza di riuscire a ottenere un decreto ingiuntivo che, ove concesso provvisoriamente esecutivo, rappresenterebbe una energica (e anche abbastanza rapida) modalità di tutela delle sue ragioni di credito.

Le conseguenze di una simile scelta possono però essere diverse da quelle attese: se ne è occupata recentemente la Sesta Sezione della Corte di Cassazione, nella sua ordinanza n. 21666 del 23 ottobre 2015, disponibile qui.

Tra una associazione e un suo associato è insorta controversia in relazione al pagamento della quota associativa.

L’associato non ha atteso l’iniziativa dell’associazione e, anzi, ha promosso, avanti il giudice statale, un giudizio di accertamento negativo del diritto vantato dall’associazione.

Quest’ultima ha sollevato exceptio compromissi: ha invero rilevato che l’art. 36 del suo statuto conteneva una clausola compromissoria.

Il giudice statale ha accolto l’eccezione e, con ordinanza, ha dichiarato la propria incompetenza.

Questa ordinanza è stata impugnata dall’associato, il quale ha rilevato che sì l’art. 36 dello statuto associativo conteneva una clausola compromissoria, ma altra disposizione del medesimo statuto (e precisamente l’art. 10, ultimo comma) escludeva dall’ambito di operatività della clausola compromissoria l’attività di recupero in sede giudiziale dei crediti dell’associazione aventi ad oggetto le quote associative.  Tale esclusione, ad avviso dell’associato, non riguarderebbe soltanto il recupero in via monitoria dei contributi associativi, ma anche l’accertamento negativo del relativo diritto di credito.

La Corte di Cassazione ha confermato il provvedimento del giudice di merito, che aveva declinato la competenza a conoscere della controversia in favore del Tribunale arbitrale previsto dallo statuto associativo.

In primo luogo, la Cassazione ha rilevato che il carattere estremamente chiaro della clausola compromissoria statutaria sottoposta al suo esame non lasciava adito a dubbi circa l’effettiva volontà delle parti di deferire le loro controversie alla decisione degli arbitri.

A conclusioni diverse, secondo la Corte di Cassazione, non si può pervenire neppure alla luce dell’esclusione, dall’ambito di operatività della clausola compromissoria, delle azioni volte al recupero dei crediti relativi alle quote associative.  Secondo la Suprema Corte, “La ratio di questa deroga risiede infatti nell’importanza della funzione svolta dai contributi come principale fonte di finanziamento dell’attività confederale e nelle esigenze di celerità proprie della loro riscossione, la quale, richiedendo l’impiego di strumenti processuali, quali il decreto ingiuntivo, non utilizzabili in sede arbitrale, risulterebbe gravemente ostacolata dall’impossibilità di farvi ricorso, anche nel caso in cui non siano contestati l’esistenza e l’ammontare del credito“.  La Cassazione aggiunge che, in ogni caso, “Ciò non significa peraltro che le predette azioni restino definitivamente sottratte alla competenza arbitrale, la cui inoperatività ai fini del procedimento monitorio non impedisce all’intimato di eccepire, in sede di opposizione, l’esistenza della clausola compromissoria, al fine di determinare la dichiarazione di nullità del decreto ingiuntivo e la remissione della controversia al giudizio degli arbitri“.

Devo rilevare che, sul punto, la motivazione dell’ordinanza della Suprema Corte non mi pare del tutto soddisfacente.  

Infatti, l’exceptio compromissi è eccezione in senso proprio, che in quanto tale non può essere rilevata d’ufficio.  Conseguentemente, la presenza di una clausola compromissoria non impedisce la pronunzia di un decreto ingiuntivo (avverso il quale si potrà però proporre opposizione, per l’appunto rilevando l’incompetenza del giudice statale ovvero l’improponibilità della domanda, a seconda della natura – rituale o irrituale – dell’arbitrato oggetto della clausola compromissoria).  In tal senso si era già pronunciata la Cassazione, nei precedenti che pure sono richiamati dall’ordinanza in commento (Cass., Sez. II Civ., 4 marzo 2011, n. 5265, disponibile qui; e Cass., Sez. I Civ., 28 giugno 1999, n. 8166).

In altri termini, anche quando il titolo devolve agli arbitri la cognizione delle controversie tra le parti, queste possono sempre agire in via monitoria, senza necessità di ulteriori pattuizioni che le autorizzino a far ciò.  Ritengo pertanto che, ove simili pattuizioni siano presenti, ci si debba interrogare approfonditamente su quale fosse la volontà espressa (magari in maniera non immediatamente intellegibile) dai contraenti.

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