Roberto Oliva

La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata in una vicenda concernente il riconoscimento e l’esecuzione in Italia di un lodo pronunciato nello Stato della Città del Vaticano, respingendo le doglianze svolte dalla parte soccombente in arbitrato, ad avviso della quale, da un lato, la controversia decisa dagli arbitri non avrebbe potuto essere oggetto di compromesso e, dall’altro lato, il lodo avrebbe pure contenuto disposizioni contrarie all’ordine pubblico.

Un particolare profilo di interesse della pronuncia in parola è rappresentato dalla circostanza che essa, adottando un condivisibile approccio non formalistico, ha confermato la sentenza della Corte di Appello di Roma, che aveva dichiarato esecutivo il lodo vaticano nell’ambito di un procedimento “sbagliato”, ossia di un procedimento ex art. 67 l. 31 maggio 1995, n. 218 (che regola il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze straniere), anziché ex art. 839 cod. proc. civ. (che invece regola il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi stranieri).

La sentenza della Cassazione (Sez. I Civ., n. 16901 del 9 luglio / 19 agosto 2015) è disponibile qui.

Il lodo arbitrale era stato pronunciato il 17 dicembre 2007 e con esso era stato accertato che il contratto di locazione stipulato tra l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme e l’Hotel Columbus s.r.l. sarebbe scaduto il 31 dicembre 2007, condannando quindi Hotel Columbus s.r.l. al rilascio dell’immobile e al pagamento delle spese di lite.

Il lodo aveva resistito alle impugnazioni promosse avanti il Tribunale di Prima Istanza e la Suprema Corte di Cassazione del Vaticano.

Come accennato, il riconoscimento in Italia del lodo in parola era stato richiesto dall’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme ai sensi dell’art. 67 l. n. 218/1995, anziché ai sensi dell’art. 839 cod. proc. civ. e, a fronte dell’eccezione della parte convenuta, la Corte di Appello di Roma aveva affermato che a suo avviso quella attivata era la procedura corretta, ritenendo in sostanza che il lodo fosse stato in  qualche modo assorbito dalla sentenza straniera che ne aveva affermato la legittimità (o, più precisamente, che aveva negato la fondatezza dei dedotti motivi di illegittimità).

Questo erroneo ragionamento della Corte di Appello ha offerto a Hotel Columbus s.r.l. un motivo di ricorso in cassazione; motivo che però è stato respinto dalla Suprema Corte.  Oggetto di riconoscimento in Italia è senz’altro il lodo e quindi il procedimento promosso in Italia (ex art. 67 l. n. 218/1995) non era quello corretto.  Ma, come ricorda la Cassazione, “la denuncia di vizi fondati sulla violazione di norme processuali non va vista in funzione autoreferenziale di tutela dell’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce, solo, l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte per effetto della violazione denunciata“.  Ora, nel caso di specie, Hotel Columbus s.r.l. aveva conseguito dalla violazione processuale non un pregiudizio, bensì un vantaggio: era stato promosso infatti un procedimento (per l’appunto, quello ex art. 67 l. n. 218/1995) a contraddittorio immediato, quindi con il suo immediato coinvolgimento, anziché un procedimento (quello ex art. 839 cod. proc. civ.) a contraddittorio differito.  Non solo: in tale procedimento erano stati precisamente denunziati taluni tra i vizi che, ai sensi degli artt. 839 e 840, impediscono il riconoscimento in Italia del lodo straniero (e, nello specifico, la non compromettibilità della controversia e la contrarietà del lodo all’ordine pubblico).  La Suprema Corte ha quindi escluso “la sussistenza di alcun interesse difensivo di ordine sostanziale della ricorrente a far valere il vizio di procedura“.

La Cassazione ha pure ritenuto infondata la doglianza secondo la quale il lodo avrebbe pronunciato su controversia che non potrebbe formare oggetto di compromesso secondo la legge italiana.

Il lodo, come detto, era stato reso il 17 dicembre 2007 e aveva accertato che il contratto di locazione concluso tra le parti dell’arbitrato sarebbe scaduto il 31 dicembre 2007.  Ad avviso di Hotel Columbus s.r.l. il lodo avrebbe quindi pronunciato una convalida di licenza per finita locazione; pronuncia che però sarebbe riservata al solo giudice statale: di qui la sua doglianza in punto non compromettibilità della controversia.  Al riguardo, la Cassazione ha rilevato che la riserva di competenza del giudice statale “si giustifica limitatamente alla prima fase a cognizione sommaria, non sussistendo, invece, alcuna preclusione che, nella fase successiva, a cognizione piena, la causa sia decisa da arbitri, come nella specie è accaduto, tanto più in considerazione della natura giurisdizionale dell’arbitrato, quale delineata all’esito delle innovazioni di cui alla l. n. 25 del 1994 ed al d.lgs. n. 40 del 2006“.

Hotel Columbus s.r.l. lamenta poi una duplice violazione dell’ordine pubblico italiano: in particolare, dell’art. 79 della l. 27 luglio 1978, n. 392 (poiché la data del 31 dicembre 2007, accertata dagli arbitri quale termine del contratto di locazione, sarebbe stata invalidamente pattuita in un accordo transattivo concluso il 23 gennaio 1988, che escludeva la rinnovazione alla scadenza del contratto di locazione) e dell’art. 2 del d.l. 6 giugno 1956, n. 476, convertito in l. 25 luglio 1956, n. 786 (poiché il suddetto accordo transattivo avrebbe pure consentito l’esportazione di capitali all’estero in violazione della relativa disciplina).

Anche queste violazioni sono state ritenute insussistenti dalla Corte di Cassazione.

Quanto alla violazione dell’art. 79 della l. 392/1978, la Suprema Corte osserva che, in virtù dell’accordo transattivo del 1988, non si era creato un nuovo rapporto di locazione, ma si era invece concordata l’ultima proroga di un contratto già esistente (da un altro passo della sentenza, si apprende che il rapporto di locazione era iniziato nel 1958).

Quanto invece alla violazione dell’art. 2 del d.l. 476/1956, convertito in l. 786/1956, la Cassazione sottolinea che la Corte di Appello ha già “ritenuto insussistente la dedotta esportazione di capitali all’estero, in relazione agli elementi di fatto considerati, e tale valutazione è incensurabile in sede di legittimità“.

Va infine detto che, alla luce della motivazione della sentenza di Cassazione, pare che le doglianze di Hotel Columbus s.r.l. riguardassero la contrarietà all’ordine pubblico non tanto (o non solo) del lodo, bensì (a monte) del contratto oggetto di cognizione da parte degli arbitri (“La censura con cui si deduce la contrarietà all’ordine pubblico italiano (…) della pattuizione con cui era stata prevista la scadenza del 31.12.2007 della locazione (…)“).

I due profili tendono senz’altro a coincidere in punto violazione dell’art. 79 della l. 392/1978 (il lodo, accertando la scadenza del contratto di locazione, avrebbe dato attuazione a una intesa asseritamente contraria all’ordine pubblico, in quanto volta a precludere la rinnovazione alla prima scadenza del contratto di locazione).  Per quanto invece riguarda la violazione della normativa concernente l’esportazione all’estero di capitali, questa coincidenza pare rinvenirsi nella pretesa nullità dell’accordo transattivo del 1988; nullità le cui conseguenze (nella prospettazione di Hotel Columbus s.r.l.) sul contratto di locazione oggetto della cognizione del Tribunale arbitrale non sono però esplicitate nella motivazione della sentenza della Cassazione.

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